1905-2005: Un secolo di traduzioni letterarie in esperanto

February 27, 2018 | Author: Anonymous | Category: N/A
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Carlo Minnaja

Un secolo di traduzioni letterarie dall'italiano in esperanto (1890 - 1990)

2005

A Luisella e Marina, indimenticabili; a Laura e Annastella, sempre vicine

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Il recupero di elementi e dati intorno a un argomento di nicchia, sul quale quasi nulla di scritto esisteva, non avrebbe potuto realizzarsi senza la collaborazione di tante persone. Desidero qui ricordare e ringraziare: - l'amico, veramente fraterno, prof. dott. Antonio de Salvo, consigliere della Corte dei Conti e curatore delle trasmissioni in esperanto di RAI Internazionale (già Radio Roma), prezioso custode di libri e archivi, per le molte informazioni di vario tipo generosamente fornitemi; - i carissimi amici prof. dott. Giorgio Silfer e dott. Perla Martinelli, insigni esperti di letteratura esperanto, insieme ai quali ho percorso numerosi anni di affettuoso attaccamento al tema di questo lavoro; - Carlo Sarandrea, curatore delle trasmissioni in esperanto della Radio Vaticana, studioso dei primi anni dell'esperanto in Italia; - la Federazione Esperantista Italiana, per aver messo a disposizione i suoi archivi; - Andrea Montagner, per non facili ricerche bibliografiche; - il dott. Alessandro Simonini, per notizie su cataloghi di biblioteche; - l'Oberstudienrat Reinhard Haupenthal, per il recupero di dati e testi della storia dell'esperanto; - Giacomino Martinez, per varie preziose notizie sull'esperanto in Friuli e Venezia Giulia; - il prof. ing. Reinhard Fössmeier, per la verifica di citazioni dalla letteratura tedesca; - il dott. Tazio Carlevaro, per informazioni sulla letteratura ticinese; - i partecipanti alla lista in rete [email protected], ai quali lanciavo una richiesta di aiuto e entro poche ore (a volte pochi minuti) ricevevo risposta da qualcuno; - Ada Csziszar, per l'accurata ricostruzione di antichi pseudonimi di non facile individuazione; - il prof. dott. Nicola Minnaja, Filippo Franceschi e l'ing. Renato Conterno, per alcuni ricordi personali.

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INDICE Capitolo I Dal primo libro alla prima guerra mondiale 1.1 L'esperanto: lingua pianificata, lingua letteraria 1.2 La prima antologia e le prime grandi traduzioni 1.3 La letteratura italiana nelle prime riviste letterarie 1.4 Una nuova antologia

p. 5 p. 5 p. 9 p. 14 p. 16

Capitolo II Da una guerra all'altra 2.1 Le riviste italiane del primo dopoguerra 2.2 La cultura italiana attorno alla rivista Literatura Mondo 2.3 Le antologie e il "numero italiano" 2.4 L'inizio della catastrofe

p. 18 p. 18 p. 25 p. 31 p. 33

Capitolo III Dalla rinascita agli anni Sessanta 3.1 Il dopoguerra 3.2 Il "Rinascimento di Montevideo" e il sorgere di nuove riviste letterarie 3.3 L'effetto Montevideo in Italia

p. 36 p. 36 p. 38 p. 42

Capitolo IV Un nuovo gruppo letterario e una nuova rivista 4.1 Giovani e meno giovani si confrontano e si uniscono 4.2 Ancora una rivista letteraria 4.3 Tre idee vecchie che diventano nuove

p. 46 p. 46 p. 50 p. 54

Capitolo V Gli ultimi grandi lavori 5.1 Si ripensa all'Antologia italiana 5.2 L'eredità di Kalocsay 5.3 Da Goldoni a Belli, da Pavese a Tomizza 5.4 Finalmente, l'Antologia italiana 5.5 Angelo Beolco, detto Ruzante 5.6 Enlumas min senlimo 5.7 Epilogo

p. 59 p. 59 p. 60 p. 61 p. 64 p. 65 p. 67 p. 72

Bibliografia

p. 73

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Capitolo I DAL PRIMO LIBRO ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE 1.1 L'esperanto: lingua pianificata, lingua letteraria La prima grammatica della Lingua Internazionale oggi conosciuta sotto il nome di "esperanto" esce a Varsavia il 26 luglio 18871, presso la stamperia Kelter. È in lingua russa, e la prima pagina riporta il titolo МЕЖДУНАРОДНЫЙ ЯЗЫКБ e lo pseudonimo dell'autore Дръ ЗСПЕРАНТО. Già sulla copertina si leggono le prime parole nella nuova lingua "por Rus,o,j" (per i russi), e nello stesso anno seguono le versioni in polacco ("por Pol,o,j"), in francese ("por Franc,o,j") e in tedesco ("por German,o,j")2. La copertina indica anche "Prefazione e manuale completo" e riporta il motto "Perché una lingua sia mondiale non basta chiamarla così". Sotto lo pseudonimo di Dr. Esperanto (che nella nuova Lingua Internazionale significa "il dottore che spera") si cela l'oculista Lazzaro Zamenhof3, un ebreo polacco nato nel 1859 a Bjałystok, governatorato di Grodno, regione della Polonia allora sotto l'impero russo. Suo padre, Mordechai cristianizzato in Markus, era un professore di lingue, autore di testi scolastici di larga diffusione, studioso dei testi biblici, una delle poche persone appartenenti alla ristretta intelligencija ebraica di cui il regime zarista si fidava, tanto da assumerlo anche nell'ufficio censura della stampa4; le lingue della famiglia Zamenhof erano il russo usato dal padre e l'yiddish usato dalla madre; la comunità ebraica circostante parlava yiddish, la lingua dell'istruzione scolastica, dei militari di stanza e della burocrazia era il russo, la borghesia parlava polacco, contadini e commercianti parlavano tedesco, e c'era una minoranza lituana. Il giovane Lazzaro, cresciuto in un ambiente multilingue, fu uno studente modello, buon conoscitore delle lingue classiche, del tedesco e dell'ebraico della Bibbia; da persona di cultura era anche un ottimo conoscitore del francese scritto e si era avvicinato all'inglese. Cresciuto in una regione dove convivevano, tra forti contrasti, etnie parlanti lingue diverse, fin da bambino aveva avuto l'idea di creare una lingua internazionale per facilitare la comprensione tra i popoli5. Un suo progetto di lingua aveva già corpo fin da quando il giovane 1

È la data del biglietto di permesso di far uscire in pubblico il libro già stampato; precedentemente (2 giugno) era stato concesso il permesso di stampa. 2 Le virgole che compaiono all'interno di una parola danno alla lingua scritta un aspetto non comune; servivano per segmentare il vocabolo nella sua radice e nelle desinenze, la -o per il sostantivo e la -j per il plurale. Tale segmentazione, usata nel primo manuale dedicato al principiante assoluto, fu subito abbandonata nelle opere successive data l'immediata riconoscibilità della morfologia delle parole, che in esperanto è molto regolare. 3 Il nome Lejzer è quello che compare nel registro delle nascite della popolazione ebraica di Bjałystok: si tratta della trascrizione russa del nome ebraico El'azar. Sono registrati anche i nomi dei genitori e del sacerdote che ha effettuato la circoncisione (copia fotografica dell'atto di nascita si trova in Memorlibro pri la Zamenhof-Jaro (Libro-ricordo dell'anno di Zamenhof, Universala Esperanto-Asocio, Londra, 1960). L'abitudine era poi di aggiungere un altro nome cristiano con la stessa iniziale, e lo Zamenhof fu chiamato con il nome Ludvik, con le varianti Ludwik e Ludovik, familiarmente col diminutivo Lutek. Con i primi anni del Novecento inizierà ad usare il doppio nome Lazzaro Ludovico e a firmarsi D-ro L. L. Zamenhof, probabilmente per non essere confuso con il fratello Leone, di sedici anni più giovane, dottore in farmacia, che aveva iniziato in quegli anni a pubblicare in esperanto e che si firmava anch'egli "D-ro L. Zamenhof". 4 Avrà poi delle difficoltà per aver permesso una pubblicazione non gradita al regime zarista. 5 Una sua lettera in russo, poi tradotta in esperanto e ripetutamente pubblicata, racconta di un episodio di violenza da parte di soldati russi su civili polacchi la cui motivazione apparve allo Zamehof bambino causata soltanto dall'incomprensione dovuta a diversità di lingua; e lo Zamenhof adulto dichiara che da allora ebbe il sogno di creare una lingua attraverso la quale tutti si potessero intendere su un piede di parità. Successivi studi ed 5

era al ginnasio6; sperimentazioni e modifiche successive portarono poi, nel 1887, alla pubblicazione del citato primo libro, costituito da una prefazione, tre saggi che illustrano il problema della lingua internazionale e la soluzione che l'autore propone, una dichiarazione di intenzione di studiare la lingua se almeno altri dieci milioni di persone fanno la stessa promessa, una grammatica essenziale di 16 regole, un vocabolario di 917 radici e alcuni brani letterari già nella nuova lingua. Sono proprio questi ultimi che ci interessano maggiormente. Zamenhof è cosciente che la letteratura è l'anima di una lingua, e che per dare credito ad un progetto di lingua internazionale nato a tavolino è necessario convincere i lettori dell'opuscolo che in tale lingua si possono esprimere tutte le sfumature proprie delle letterature di tutti i popoli. I brani che compaiono sono, se tralasciamo una lettera di convenevoli che serve da modello, due poesie originali, Mia penso (Il mio pensiero) e Ho mia kor' (O mio cuore), la traduzione del Padre nostro, la traduzione dei primi dieci versetti della Genesi e la traduzione da Heine En sonĝo princinon mi vidis (Mir träumte von einem Königskind). Perché Zamenhof ha scelto proprio questi brani? Le poesie originali parlano della sua emozione nell'uscire in pubblico con una lingua internazionale avendo sacrificato tutta la giovinezza allo studio per perseguire quell'ideale. I versi presentano già licenze poetiche con i sostantivi a finale tronca7, le rime sono semplici, ma si intravedono chiaramente le potenzialità letterarie della lingua. Pur avendo le parole in esperanto l'accento sempre regolarmente sulla penultima vocale, e quindi offrendo naturalmente un ritmo di trochei e amfibrachi con le parole generalmente bisillabe e trisillabe, una di queste poesie presenta, con una sagace alternanza di monosillabi e di parole troncate, un incalzante ritmo giambico8. Con le traduzioni lo Zamenhof vuole dare subito un senso di universalità, e quindi coglie i testi più cari alla religione cristiana e a quella ebraica, che coprono la quasi totalità del mondo che a quell'epoca veniva considerato "civile". Riguardo alla traduzione da Heine, lo Zamenhof evidentemente ritiene che una traduzione dal tedesco collochi la nuova lingua in un ambiente più eurocentrico che non una traduzione dal russo, idioma con il quale egli sarebbe ben più intimo. Inoltre Heine era ebreo, era popolare anche in Francia, avendo sposato una francese ed essendosi trasferito a Parigi. La poesia in questione, numerata col XLI nella raccolta Lyrisches Intermezzo apparsa nel 1823, non è tra le più famose del poeta tedesco: parla di un amore impossibile vissuto in un sogno romantico. Vogliamo vedere anche qui un'allusione al sogno di una lingua universale? Il Secondo libro9 apparirà nel 1888, meno di un anno dopo, e sarà totalmente nella nuova lingua: un piccolo popolo esperantista si era già formato, molti interessati avevano scritto al interpretazioni meno agiografiche, particolarmente riferentisi al periodo in cui lo Zamenhof studente fu un attivista del movimento sionista favorevole al ritorno del popolo ebraico in Palestina, vedono invece nella creazione della lingua internazionale lo scopo di far comunicare tra loro gli ebrei sparsi nel mondo, al fine di ricostituirne un'unità di popolo. La comunità esperantista si impadronirà poi della lingua ben al di là delle intenzioni del suo autore, e ne creerà uno strumento legato ad una ideologia di uguaglianza linguistica nella comunicazione internazionale, ben lontana da un qualsiasi nazionalismo, incluso quello ebraico. 6 Le non poche biografie di Zamenhof riportano tutte un episodio simbolo, ripreso da scritti dello stesso Zamenhof: il giovane riunisce alcuni compagni di scuola, e davanti a una torta tutti cantano una canzone di quattro versi che inneggia alla caduta delle inimicizie tra le nazioni. 7 Tale licenza è addirittura codificata nelle sedici regole della grammatica, il che prova la grande importanza che lo Zamenhof attribuiva alla poesia fin dai primi passi della nuova lingua. 8 Zamenhof scrisse soltanto nove poesie originali e tutte, salvo una, riferentisi all'ideologia esperantista; tuttavia, nonostante il tema, si può notare più volte un sincero afflato poetico. 9 L'aver chiamato questa pubblicazione Dua libro (Secondo libro) rientrava nell'idea di Zamenhof di numerare progressivamente i libri che uscivano, e quindi la prima opera del 1887 fu successivamente chiamata, a 6

Dr. Esperanto indicando la loro disponibilità ad imparare la lingua se altri lo avessero fatto, o dichiarando di averla già imparata rapidamente. C'è quindi già un pubblico di cultori della lingua internazionale, ai quali è naturale rivolgersi nella lingua stessa. Il Secondo libro contiene un commento a proposte di riforma della lingua pervenute all'autore, esercizi e frasi, e ancora brani letterari: una favola di Andersen, il Gaudeamus igitur e ancora una poesia di Heine10, tradotta tuttavia non più dallo Zamenhof, ma da un poeta, giornalista e saggista polacco, l'ebreo Leo Belmont11. Ci sono anche alcuni proverbi, altra colonna portante di una qualsiasi civiltà; lo Zamenhof vuole creare attraverso la traduzione di proverbi una tradizione linguistica, e a questa raccolta di pillole di saggezza resterà sempre affezionato12. Ancora letteratura dunque, e ancora brani di autori internazionalmente noti. Andersen viene tradotto non dall'originale (Zamenhof non conosceva il danese), ma dalla versione in tedesco13. Ancora un riferimento centro-europeo, nonostante il fatto che i primi cultori, che hanno comperato la prima grammatica in libera vendita in librerie e stazioni, fossero principalmente polacchi e russi, spesso di etnia ebraica. Ma presto si aggiunsero numerosi tedeschi, a volte già adepti di una lingua internazionale, il Volapük, che aveva avuto un rapido successo in quegli anni, seguito da un declino ancor più rapido, e che aveva già dimostrato la sua carenza fondamentale: la difficoltà del suo lessico14. Questo proveniva generalmente dalle lingue germaniche, ma le radici erano fortemente deformate fino ad essere irriconoscibili; veniva quindi meno uno degli elementi fondamentali per una lingua internazionale: il potervi trovare, almeno per i popoli europei, un discreto numero di radici della propria lingua15. Con il 1889 la "Lingua Internazionale del dr. Esperanto" comincia ad essere chiamata semplicemente con lo pseudonimo del suo iniziatore, e gli adepti si chiameranno esperantisti16. I centri di diffusione sono a Varsavia, dove vivono Zamenhof e Belmont, a Odessa, a Norimberga, dove inizia le pubblicazioni il primo giornale in esperanto, La Esperantisto, a Uppsala. Lo spostamento dell'asse verso l'Europa occidentale si ha negli anni immediatamente successivi, con la diffusione dell'esperanto in Francia, dapprima nella posteriori, Unua libro (Primo libro). La numerazione continuò per alcuni anni, fin quando la grande abbondanza di pubblicazioni in vari luoghi rese impossibile il controllo. 10 Si tratta di Lieb Liebchen, legs Händchen aufs Herze mein, messa successivamente in musica da Schumann. 11 Pseudonimo di Leopold Blumenthal (1865 - 1940). La traduzione citata è firmata con le iniziali K.D., sigla mai chiarita; in pubblicazioni successive che riprendono la stessa poesia il nome del traduttore appare invece esplicitamente. 12 Il padre, Markus, aveva in mente una fraseologia russa-polacca-tedesca-francese che raccogliesse proverbi e modi di dire di tutte le provenienze, e ne cominciò la pubblicazione in dispense nel 1905; a questa raccolta lo Zamenhof propose di aggiungere le massime in esperanto. Per la morte di Markus le pubblicazioni si interruppero, e poi uscì unicamente la parte in esperanto nel 1910. 13 Zamenhof tradurrà l'intera raccolta delle Fiabe di Andersen, che uscirà dopo la sua morte: i primi tre volumi tra il 1923 e il 1932 e il quarto e ultimo soltanto nel 1963. 14 L'ideatore del Volapük fu l'abate tedesco Johann Martin Schleyer (1831-1912), che lo pubblicò nel 1879. Godette di successo per circa 10 anni, con numerosi corsi di apprendimento e club di adepti. Nel 1890 iniziò un declino rapidissimo, tuttavia ancora adesso esistono gruppi di studiosi e una rivista; una ricerca con Google dà per Volapük 1.770.000 citazioni (per confronto, la voce Esperanto ne dà 109 milioni). 15 Il lessico era basato principalmente su quello inglese, la struttura grammaticale più su quella tedesca. Il nome stesso deriva dai vocaboli inglesi world e speak: Volapük = lingua del mondo. Vi furono tre congressi, in cui principalmente si parlò in tedesco. 16 La terminologia moderna distinguerà poi, circa un secolo dopo, gli esperantofoni, cioè i semplici utenti della lingua per qualsiasi scopo, dagli esperantisti, termine a cui si attribuisce anche un significato ideologico di divulgatori della lingua e di ideali di pace e di uguaglianza tra i popoli. Gli esperantisti tra loro si sono sempre chiamati samideanoj (plurale di samideano = sam-ide-an-o = membro della stessa idea); un calco di tale termine è usato dagli esperantisti anche in italiano (samideano, con il suo plurale samideani) e compare per la prima volta nel dizionario di Bruno Migliorini. Una ricerca attuale su Google riporta tale termine usato anche da organismi non legati all'esperanto, ad esempio in giornali che parlano di manifestazioni di esperantisti. 7

regione di Albi e poi a Parigi, e proprio a Parigi imparerà e si appassionerà alla lingua il primo esperantista italiano, il dott. Daniele Marignoni17. Il Marignoni è un agiato notaio che risiede a Crema, discendente da famiglie dell'alta nobiltà cremasca, redattore di giornali cattolici, conoscitore di varie lingue, già adepto dell'idea della necessità di una lingua internazionale. È un eclettico, con interessi per la stenografia, su cui scriverà un libro. Viaggia molto e a Parigi trova il primo libro di esperanto nella versione francese; impara la lingua e, a sua volta, nella primavera del 1890, pubblica la prima grammatica in italiano dal titolo: Esperanto, ossia la più pratica delle lingue internazionali18. È la trentacinquesima opera di esperanto che esce, a meno di tre anni pieni dall'uscita del Primo libro, del quale sono già uscite le traduzioni in inglese, ebraico, svedese, lettone, danese, bulgaro, eventualmente adattate per le varie lingue. Subito dopo il manuale in italiano ne usciranno in spagnolo, in ceco, in lituano. Questo primo manuale del Marignoni raccoglie già qualcosa di significativo. Ci sono brevi cose di Zamenhof e dei primi esperantisti, alcuni proverbi e altri piccoli brani ripresi dalla prima rivista in esperanto, La Esperantisto, che aveva una rubrica letteraria in ogni numero19; ma soprattutto ci sono le prime traduzioni in assoluto dall'italiano in esperanto. Si tratta solo di brevissimi frammenti da Tommaseo, Metastasio, Giusti. La grammatica non fruisce subito di una buona accoglienza: la rivista letteraria La Scintilla, edita a Venezia, nel suo numero del 18 maggio 1890, p. 76, pubblica una recensione del libro a firma S., che deride come "illusione" l'idea di una lingua universale, giacché "l'idioma non è cosa convenzionale e che si possa stabilire o creare a talento, né da un uomo, né da un'accolta di dotti". Altri giornali invece, nel corso di questi primi anni, citano l'esperanto con interesse20. Il Marignoni resta il solo esperantista in Italia per alcuni anni; nuovi adepti e gruppi nasceranno circa un decennio dopo. Egli stesso si rammarica, in una cartolina del 1904, di non avere dalle sue parti persone con cui praticare la lingua. Ma sue traduzioni appaiono in sede internazionale nel 1893, quando esce la prima antologia.

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Del Marignoni si parla brevemente in: E. Migliorini, I pionieri dell'esperanto in Italia, s.i.p., Roma, 1982, ma studi più accurati sono iniziati soltanto nella primavera del 2005, quando per scadenza della concessione cimiteriale i resti mortali avrebbero dovuto essere collocati in un ossario comune. Questo fatto dette l'occasione al movimento esperantista di ricostruire dati anagrafici ed attività del Marignoni, che si scoprì essere stato un cittadino illustre di Crema, autore di studi e pubblicistica varia, in particolare nel campo della lingua internazionale e della stenografia. A seguito di tali risultanze l'amministrazione comunale fece traslare i resti del Marignoni nel monumento della personalità cittadine, e una lapide del Famedio lo ricorda come colui che "introdusse l'Esperanto in Italia". In quella occasione (11 giugno 2005) vi fu una celebrazione ufficiale con la partecipazione del sindaco di Crema, on. Claudio Ceravolo. Al Marignoni in quanto primo esperantista italiano era stata intitolata, nel 1956, una scuola media superiore di Milano, l'Istituto Professionale per il Commercio di via Melzi d'Eril. Oggi tale scuola si è fusa con altro istituto e si chiama Istituto Professionale per il Commercio ed il Turismo "D. Marignoni - M. Polo". Le conoscenze aggiornate sul Marignoni si trovano adesso riassunte in: C. Sarandrea, Origini del movimento esperantista a Roma (1905-1935), Roma Esperanto Centro "Luigi e Carolina Minnaja", Roma, 2005. 18 Edizione: Tipografia Carlo Cazzamalli, Crema, 1890. Si tratta di un opuscoletto di 75 pagine, 19x13 cm.; costo: 60 cent. 19 La Esperantisto esce a Norimberga il 1° sett. 1889, annunciando una cadenza mensile. La maggior parte degli abbonamenti è in Russia, per cui la rivista ha un tracollo quando la censura ne impedisce l'entrata in quel paese, perché riportava la traduzione di Saggezza e fede di Tolstoj. Le pubblicazioni proseguono ancora con grande difficoltà fino a cessare definitivamente nel 1895. Nascerà subito in Svezia una nuova rivista, Lingvo Internacia (Lingua Internazionale), che durerà dal 1895 fino alla guerra. 20 In C. Sarandrea, Op. cit., troviamo menzionati Il Paese, la Gazzetta di Torino, Il Secolo, Il popolo romano. 8

1.2 La prima antologia e le prime grandi traduzioni Nel 1893 esce un piccolo libretto di formato tascabile, 10,3x16 cm., di 160 pagine, dal titolo La Liro de la Esperantistoj21 (La Lira degli Esperantisti), con il sottotitolo Kolekto da Versaĵoj en la Lingvo internacia "ESPERANTO" (Raccolta di opere in versi nella lingua internazionale "ESPERANTO"): è la prima antologia in esperanto, ed è di poesia. Il redattore è Antoni Grabowski, un ingegnere chimico, autore, in polacco, di vari libri scientifici e di un vocabolario tecnico. Grabowski conosce parecchie lingue22; ha studiato il Volapük, di cui è rimasto deluso per la sua difficoltà, e quindi ha imparato l'esperanto avendo comprato il Primo libro in una stazione. Con il 1888 visita Zamenhof più volte e da lui riceve consigli ed incoraggiamenti23. Per "esercitarsi" nella lingua traduce La tempesta di neve, un ingenuo racconto romantico di Puŝkin, che esce come opuscolo autonomo nel 1888: è la prima opera letteraria in esperanto in assoluto, che segue i primi libri di apprendimento. Grabowski sceglie dunque un'opera russa per le sue prove iniziali di traduttore, e subito dopo traduce I fratelli di Goethe, opera che appare anch'essa nel 1888; il russo e il tedesco sono nettamente le lingue di maggior prestigio nell'Europa centro-orientale, il polacco appare ancora poco nobile; soltanto nel 1891 usciranno traduzioni da Prus e Sienkiewicz. Grabowski già da un anno andava raccogliendo materiale per questa antologia, in parte tramite lettere con gli altri utenti della lingua, in parte riprendendo quanto compariva su La Esperantisto. Se il libretto è modesto come formato, il suo contenuto è tutt'altro che trascurabile: ci sono 110 poesie di 24 autori, in larga parte tradotte dal tedesco e dal russo, ma anche da molte altre lingue: inglese, polacco, arabo, ungherese, lettone, lituano, italiano, ceco… Ci sono anche 27 poesie originali, di dodici poeti di lingue e paesi diversi. La comunità dei poeti in esperanto riceve dunque il suo battesimo ufficiale. I temi sono spesso banali, e le traduzioni sono differenti come struttura e come livello; non mancano canti popolari, il che attesta l'interesse dei primi traduttori per l'aspetto unificante e fraternizzante della poesia. Sono ancora frequentissimi gli adasismi24 e anche delle notevoli forzature sulla successione logica delle parole per poter ottenere una certa rima o un certo ritmo; ma si possono riconoscere delle chiare personalità individuali: oltre allo Zamenhof compaiono suo fratello Leone, Grabowski stesso, l'ebreo russo Mozes Goldberg, e debutta un vero talento poetico: il russo Vasilij Devjatnin. La scelta delle poesie tradotte appare quasi del tutto casuale: alcune sono famose, altre relativamente note, altre del tutto sconosciute, ma il solo fatto di proporle è già un grande successo: chi avesse in mano questa antologia potrebbe gustare dei piccoli gioielli non così 21

A. Grabowski (red.), La liro de la Esperantistoj, Tümmel, Nürnberg, 1893. Una testimonianza del figlio, ing. Sygmunt Grabowski, lo dice buon conoscitore di una ventina di lingue; una tradizione aumenta tale numero a trenta, probabilmente per il fatto che in una sua antologia figurano traduzioni da altrettante lingue, ma certamente varie traduzioni, ad esempio quelle da lingue asiatiche, sono mediate attraverso qualche lingua-ponte. 23 Secondo una tradizione, confermata dal figlio, tra Grabowski e Zamenhof si è svolta la prima conversazione in esperanto nel 1888. Tuttavia probabilmente alcune frasi, almeno di prova e di esercizio, Zamenhof le avrà scambiate già prima con i fratelli e il suocero, che si erano avvicinati subito alla lingua; la testimonianza probabilmente va intesa come la prima conversazione piena con persona fuori della famiglia. 24 Italianizzazione di un termine in esperanto che indica una rima fatta tramite un suffisso. In particolare venivano considerate poco eleganti le rime nei verbi usando il suffisso -ad-: due voci verbali che non rimano, come, ad esempio, kantas (= io canto) e skribas (= io scrivo) vengono fatte rimare aggiungendo il suffisso -ad-, che indica un prolungamento dell'azione, e costruendo così le forme kantadas (= io canto a lungo) e skribadas (= io scrivo a lungo). Poiché questo si può fare con tutti i verbi e con vari suffissi, tale rima costruita così banalmente è ritenuta da evitarsi. I versificatori primitivi invece trovavano estremamente comoda per la rima questa potenzialità data dalla lingua. 22

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largamente noti in Europa. Il significato propagandistico di una ancorché piccola opera di questo tipo era ben chiaro: l'esperanto è una lingua come le altre, ha in embrione una sua letteratura originale, e tramite l'esperanto ci si può avvicinare a letterature assai poco tradotte nelle lingue di grande comunicazione. La lingua internazionale assolve quindi uno dei suoi compiti primari, quello di far conoscere, in un campo più vasto e su un piede di parità, valori letterari di popoli relegati ai margini della cultura europea perché la loro lingua è poco diffusa25. Oltre a Longfellow e Krylov, Heine e Lermontov, Goethe e Mickiewicz, Puškin e Petöfi compaiono anche autori importanti nella loro lingua, ma assai meno noti internazionalmente, come il boemo Hálek26 o lo slovacco Kollár27, la polacca Konopnicka28 o il russo Nadson29. Si può notare una certa attualità: quasi tutti i poeti tradotti sono del XIX secolo, e dunque c'è una scrupolosa attenzione alla fama del momento; inoltre quasi tutte le tematiche si ispirano agli ideali romantici e di fratellanza universale, così consoni all'ideologia esperantista che allora si andava formando. La poesia italiana è rappresentata in questa antologia da tre traduzioni: un'arietta del Metastasio (Se a ciascun l'interno affanno…), tradotta da Grabowski stesso, e due tradotte dal Marignoni: una del Giusti (Preghiera) e una di Alessandro Paravia30. Viste coi criteri di oggi, le traduzioni del Marignoni verrebbero classificate assai poco fedeli e, in più di un punto, infelici; pur considerando che la tradizione poetica in esperanto era ancora ai primordi, e quindi la ricerca della rima era considerata una giustificazione valida che faceva accettare anche versi mal strutturati ritmicamente e costruzioni sintattiche forzate, un confronto mostra che altri poeti erano tuttavia capaci di una versificazione assai migliore. Ma dobbiamo ricordare che il Marignoni aveva contatti con l'esperanto soltanto come lingua scritta, mentre altri operavano all'interno di gruppi linguisticamente vivaci.31

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Può essere indicativa una statistica, ancorché piuttosto vecchia, presa dall'Index Translationum dell'Unesco. Nel decennio 1957-1966 sono apparse traduzioni da tutto il mondo, ma il 70% di queste proveniva da quattro lingue soltanto (inglese, russo, francese, tedesco). Nello stesso periodo sono uscite 344 traduzioni in esperanto, e le prime quattro lingue da cui si tradusse maggiormente furono il cinese, il vietnamita, l'olandese e il giapponese, che coprivano peraltro meno del 50% delle traduzioni effettuate. Nel 2004, ultima statistica nota dall'Index Translationum, le prime cinque lingue (inglese, francese, tedesco, russo, italiano) coprono una percentuale attorno al 90%; il solo inglese copre il 55% delle prime 50 lingue e la seconda lingua, il francese, ha meno di un sesto delle traduzioni rispetto all'inglese. 26 Vitěslav Hálek (1835 - 1874), poeta e narratore ceco, dette il meglio di sé nella descrizione del paesaggio boemo. 27 Ján Kollár (1793 - 1852), scrittore slovacco di lingua ceca. Fu parroco della comunità protestante slovacca di Budapest e quindi professore all'università di Vienna. Rappresentante degli ideali di fratellanza tra le popolazioni slave, si sforzò di dimostrare le origini slave di gran parte delle popolazioni dell'Italia settentrionale. 28 Maria Konopnicka (1842 - 1910), poetessa di ispirazione patriottica e sociale, autrice di un epos popolare eroico e di novelle e fiabe per bambini. 29 Semën Nadson (1862 - 1887), morto di tisi, fu il cantore dei giovani progressisti, e alcuni suoi versi divennero poi slogan rivoluzionari. 30 Pier Alessandro Paravia (1797 - 1857) fu professore di eloquenza all'università di Torino, traduttore di Plinio il Giovane e buon memorialista. Di lui restano significative le lezioni accademiche e prose varie; la sua produzione poetica, peraltro scarsa, non è tra le sue cose migliori. 31 Come curiosità conclusiva su La Liro de la Esperantistoj possiamo citare il fatto che la copertina, in verde chiaro, riporta una stella a cinque punte disegnata come fosse in rilievo; il libro seguì quindi la proposta di L. de Beaufront (ps. di E. L. Chevreux, 1855 - 1935), apparsa su La Esperantisto nel maggio 1893, che tutte le pubblicazioni in esperanto avessero una copertina verde con una stella, entrambi simboli di speranza. Successivamente sulla stessa rivista fu proposta una stella d'oro in campo verde come segno di riconoscimento degli esperantisti da portarsi all'occhiello; verso il 1895 si affermò come simbolo della lingua e dei suoi sostenitori una stella verde a cinque punte, e il vessillo è un drappo verde con un rettangolo bianco in alto a sinistra, entro il quale campeggia una stella verde a cinque punte. Dunque la copertina di La Liro de la Esperantistoj è probabilmente il primo libro che espone il simbolo diventato poi il simbolo della lingua. 10

Un regresso della presenza dell'italiano si ha dieci anni dopo nella seconda antologia di letteratura esperanto, la Fundamenta Krestomatio (Crestomazia Fondamentale), raccolta di poesie e prose redatta dallo Zamenhof ed apparsa a Parigi presso Hachette nel 1903. Si tratta di un'opera assai più matura sotto tanti punti di vista. Zamenhof ha firmato un contratto con la casa editrice Hachette concedendo a questa il monopolio delle sue opere, che cominciano ad essere tante e molto richieste: il futuro economico di Zamenhof è assicurato e il numero di lettori è in continuo aumento. Non c'è quindi più bisogno di mostrare che la lingua esiste e di accogliere perciò con soddisfazione qualsiasi traduzione, indipendentemente dalla qualità. Questa nuova antologia è assai più selettiva e comprende 70 poesie, parecchie delle quali già pubblicate nella Liro, e 26 prose. Alcune sono lunghe e impegnative, come Gli abiti nuovi dell'imperatore e La sirenetta di Andersen (tr. Zamenhof), o il primo canto dell'Iliade e La nave degli schiavi di Heine (tr. Antoni Kofman); altre più leggere, come Lorelei di Heine (tr. Zamenhof). Compaiono anche poesie originali di tutto rispetto, sia per la lunghezza, sia per il valore lirico, ma tra i trenta autori o traduttori manca qualsiasi presenza italiana. La Fundamenta Krestomatio compare dunque dieci anni dopo la Liro. Nel frattempo erano apparse traduzioni importanti, e da lingue importanti: La battaglia della vita di Dickens (tr. Zamenhof) forse non aveva avuto un grande influsso, perché apparsa a puntate su La Esperantisto nel 1891, ma ben più importante è Amleto, che esce nel 1894. Zamenhof non è padrone dell'inglese e si affida per aiuto alla versione in tedesco, per cui la sua traduzione, in versi, è a volte semplificatrice, a volte non troppo fedele; tuttavia si tratta di una bella opera, linguisticamente armoniosa, che godrà di un meritato successo, con edizioni e ristampe successive. Erano inoltre uscite altre opere tradotte dal polacco, dal russo, dal tedesco, dal francese: la lingua letteraria aveva preso consistenza e sicurezza, il lessico era significativamente cresciuto per le nuove necessità, autori e traduttori avevano a disposizione uno strumento maturo. Si può marginalmente notare che sia dal tedesco che dal russo traducono indifferentemente russi, tedeschi e polacchi, il che indica come certe lingue e certe letterature fossero largamente note nell'Europa centro-orientale. In questa nuova dimensione la letteratura italiana resta al palo. Il movimento esperantista in Italia comincia a concretarsi come tale, al di là di alcuni adepti isolati, nei primissimi anni del Novecento. Ma sono straniere le personalità che vi danno impulso: il senatore svedese Claes Adelsköld32 dedica al Congresso della Pace, che si svolge a Roma nel 1891, la musica per l'inno esperantista La espero (la speranza)33; a quel congresso partecipa la baronessa Bertha von Suttner, premio Nobel per la pace nel 1905, che si esprimerà più volte a favore dell'esperanto. Nel 1897 si converte all'esperanto dal Volapük l'inglese Clarence Bicknell, che vive a Bordighera34; è un buon poeta originale, traduce dall'inglese e dall'italiano: nella rivista inglese The Esperantist dal 1904 al 1906 compaiono una poesia di Carlo Alberto Bosi e tre di Ada Negri; con il 1915 usciranno Una partita a scacchi di Giacosa, Il bove di Carducci e 32

Claes Adelsköld (1824 - 1907), ingegnere militare, costruttore di ferrovie e ponti (in particolare a lui si deve la prima ferrovia svedese nel 1849), pittore, scrittore e musicista, fu membro (anche presidente) dell'Accademia Svedese delle Scienze. 33 La espero è una poesia di Zamenhof, probabilmente la prima opera in esperanto messa in musica, ed iniziò ad essere considerata l'inno del movimento esperantista verso il 1895. La partitura di Adelsköld è a quattro voci e perciò poco adatta a diventare veramente popolare. Furono proposte quindi altre melodie; una scelta ufficiale non fu mai effettuata, ma nei primi congressi degli esperantisti si affermò spontaneamente una musica da marcia militare composta nel 1905 dal barone francese Félicien Menu de Ménil (1860 - 1930); con tale musica La espero è l'inno ufficiale ancora oggi. Il compositore Lorenzo Perosi scrisse: "Se si dovesse musicare un inno alla Pace stimerei come il più adatto ‘La Espero’ di Zamenhof." 34 Clarence Bicknell (1842 - 1918), già pastore anglicano, fu botanico e archeologo di fama internazionale. Un museo di Bordighera porta il suo nome e ospita le sue raccolte e i suoi reperti. 11

Canti popolari italiani. La boema Rosa Junck35 giunge a Bordighera, dove impara l'esperanto e quindi collabora con il Bicknell; l'inglese Daniel Lambert36 pubblica le prime sei terzine dell'Inferno su The Esperantist nel 1905, il francese conte Albert Gallois, esperantista dal 1902, sposa un'italiana e si stabilisce a Riolunato (Modena), dove fonda il primo gruppo esperantista in Italia37. Il Gallois contribuisce anche alla fondazione della Società Italiana per la Propaganda dell'Esperanto, sodalizio sul modello di uno analogo già attivo in Francia, e promuove la fondazione a Torino del primo periodico in Italia, L'Esperantista (1902). Nell'Annuario degli esperantisti, edito in Francia, in Italia figurano solo otto nomi, i più dei quali non italiani. Questi dunque i promotori nel nostro paese; è naturale quindi che ancora nessuno possa prendere il posto di Marignoni come traduttore dall'italiano. Tuttavia il 1905 segna un punto di svolta sia per la lingua, sia per il movimento mondiale, sia per la letteratura. Si svolge il primo congresso di esperanto a Boulogne-sur-Mer, località turistica sulla Manica: è la prima assise mondiale, dove si incontrano 688 persone di 30 nazioni. La lingua ha già 18 anni, ha dimostrato la sua utilizzabilità a tutti i livelli anche nelle conversazioni, ci sono già stati numerosi convegni di minori proporzioni, ma non si era mai avuto un incontro di così vasta portata, che costituisce un test molto significativo. L'esperanto esce egregiamente da questa prova: nonostante il fatto che la maggior parte dei convenuti avesse imparato la lingua su un manuale e non l'avesse mai praticata a voce con persone di altre nazioni, non vi sono differenze significative nella pronuncia e la comprensione è perfetta. Il congresso nomina anche un Comitato Linguistico che collabori con lo Zamenhof nel controllo dell'evoluzione della lingua38. Sono eletti 102 membri di 28 nazioni; 21 sono francesi, 12 sono inglesi. La presenza italiana è deludente: sono eletti sei membri residenti in Italia, ma di questi soltanto due sono italiani, il Marignoni e l'avv. Raffaele Bagnulo39 di Napoli. Gli altri quattro sono il Bicknell, il Gallois, la Junck e il francese prof. Gaspard Blanc residente a Roma. Tuttavia anche in Italia l'esperanto comincia finalmente a fare proseliti, ed è in questo primo decennio del secolo XX che nascono numerosi gruppi importanti: un primo embrione del gruppo romano si ha nel 1904, con fondazione ufficiale nel 1905, anno in cui nascono anche gruppi a Firenze e Bologna; nel 1906 nascono gruppi a Trieste e Milano. Durante il congresso di Boulogne-sur-Mer la lingua ha una stabilizzazione. Zamenhof presenta tre opere didattiche: la Grammatica, gli Esercizi e il Vocabolario universale. Questi testi vengono dichiarati dal congresso come l'intoccabile Fundamento (Fondamento) della lingua, nel senso che la lingua può evolvere, ma senza discostarsi dai principi basilari codificati nel Fundamento. La lingua aveva avuto varie proposte di riforma, tra le quali anche una di Grabowski, ma alla ricerca di miglioramenti il pubblico oppose un desiderio di 35

Rosa Junck, nata Bilek (1850 - 1929) ha tradotto in esperanto alcune opere di De Amicis e ha tradotto in italiano il Fundamento de Esperanto (1906). 36 Daniel Henry Lambert (1852 - 1930), avvocato e linguista, co-fondatore dell'Associazione Esperantista Britannica, ha tradotto da Shakespeare Macbeth e Giulio Cesare. 37 Il conte Gallois fondò varie altre associazioni, fu segretario dell'Accademia "Lo Scoltenna" e fu per trent'anni l'anima della vita del piccolo paese di Riolunato. Vd. C. Strozzi: Gallois, un ritorno alle origini, "L'esperanto", 8/9, 1986, pp. 8-9. 38 Il Comitato Linguistico viene costituito durante il congresso ed ha oltre 100 membri: presidenti dei gruppi più numerosi, redattori di riviste, autori di opere letterarie o di apprendimento. Verrà elaborato uno statuto che sarà approvato con il congresso successivo. Dopo varie modifiche di statuto, la più importante delle quali, di fatto una rifondazione, si avrà dopo la seconda guerra, tale comitato è attivo tuttora sotto il nome di Accademia di Esperanto. 39 Raffaele Bagnulo (1880 - 1975), napoletano poi trasferitosi a Bologna, fu illustre membro dell'Avvocatura dello Stato. Attivissimo nel movimento esperantista fino a tarda età, fondò anche dei periodici che ebbero però breve durata; tradusse il V canto dell'Inferno (1906). 12

stabilizzazione: troppe persone avevano imparato la lingua così come era nata nel 1887 e avevano costituito già una massa critica. L'esperanto non era più un progetto a cui qualche modifica o miglioramento studiato a tavolino avrebbe potuto portare un maggior numero di adepti: era già lingua viva con i suoi parlanti, autori, stampa, letteratura. Il Fundamento codifica le regole grammaticali e il loro uso, nonché i significati delle parole. Esso sostituisce quindi il cammino secolare fatto dalle lingue etniche e fissa una base di partenza per qualsiasi evoluzione successiva40. La letteratura ha una improvvisa accelerazione nel 1906, conseguenza del successo del congresso dell'anno prima. Su proposta del prof. Carlo Bourlet41 la casa editrice Hachette decide di pubblicare un periodico mensile in esperanto esclusivamente letterario, La Revuo (La Rivista): Zamenhof ha quindi una larga possibilità di far uscire a puntate le sue traduzioni, che spaziano dalla Bibbia a Gogol, da Schiller a Goethe, da Andersen a Molière, alla Orszesko. Oltre a Zamenhof, che ha a disposizione 18 pagine ogni numero, collaborano gli esperantisti più illustri, i polacchi Grabowski e Kabe42, gli svizzeri Hodler43 e Privat44, i francesi Boirac45 e Menu de Ménil. E gli italiani? La Revuo ha ben pochi collaboratori italiani, ma ha qualcosa di interessante.

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Lungi dall'irrigidire la lingua, come i riformatori temevano, l'aver fissato l'intoccabilità di certe basi ha consentito, nell'arco di un secolo, una evoluzione naturale come quella delle lingue etniche. Altri progetti di lingue pianificate, alla continua ricerca di miglioramenti, non sono mai riusciti ad ottenere neanche quella sia pur modesta diffusione di cui gode l'esperanto, anche se obbiettivamente "migliori" come facilità. Il maggiore o minore successo di una lingua pianificata dipende in parte assolutamente minima dalla migliore o peggiore struttura della lingua in sé, ma varia secondo motivazioni economiche, politiche e sociali. 41 Carlo Bourlet (1866 - 1914), professore di matematica al Conservatorio di Arti e Mestieri a Parigi, autore di numerosi testi per i licei, si è dedicato principalmente alla meccanica applicata. Attivista entusiasta nel movimento, ha pubblicato anche una grammatica condensata in poche pagine, distribuita in oltre 500.000 esemplari. 42 Pseudonimo del medico polacco Kazimierz Bein (1872 - 1959), fondatore della Società Oftalmologica Polacca e dell'Istituto di Oculistica di Varsavia, di cui fu a lungo direttore. Ebbe un'attività intensa nel campo esperantista, dal 1906 vicepresidente dell'Accademia di Esperanto, tradusse varie opere dal polacco, dal russo e dal tedesco, e scrisse il primo vocabolario di esperanto con definizioni nella lingua stessa. Compilatore della prima antologia di una letteratura nazionale in esperanto, quella polacca, fu il creatore di uno stile letterario semplice, chiaro e scevro da idiotismi nazionali, nel periodo in cui ancora la lingua risentiva di influenze delle lingue nazionali a seconda degli autori, e portò la prosa in esperanto ad una piena maturità, tanto che fu chiamato "padre della prosa esperanto". Nel 1911, al culmine del suo successo, abbandonò improvvisamente qualsiasi attività esperantista, tanto che in esperanto è nato il verbo kabei per indicare un sopraggiunto disinteresse per la lingua e il suo movimento. I motivi di tale abbandono non furono mai chiariti (forse dissapori con altri esponenti); in un'intervista del 1931 egli dichiarò che non riteneva più che l'esperanto fosse la soluzione del problema della lingua internazionale. 43 Hector Hodler (1887 - 1920), svizzero, figlio di un rinomato pittore, fu per tredici anni redattore della rivista Esperanto. Convinto dell'idea che la lingua dovesse essere utilizzata praticamente, fondò la Universala Esperanto-Asocio (UEA, Associazione Mondiale di Esperanto), che ha una rete di delegati per servire i soci e che tuttora è la più grossa associazione di esperantisti. 44 Edmond Privat (1889 - 1962), svizzero, professore universitario di diritto, rappresentante della Persia presso la Società delle Nazioni, organizzatore, redattore, oratore, poeta, novelliere, storico del movimento. Fu molto legato all'ideologia non violenta di Gandhi. Su di lui è recentemente uscito P. Martinelli, Edmond Privat - l'uomo e l'opera, Centro Italiano di Interlinguistica, Milano, 2004. 45 Émile Boirac (1851 - 1917), professore universitario di filosofia, rettore delle università di Grenoble e di Digione, traduttore della Monadologia di Leibniz, presidente del Comitato Linguistico, strenuo difensore dell'esperanto all'epoca del conflitto sulle riforme che portò alla creazione dell'Ido (1907-1908). 13

1.3 La letteratura italiana nelle prime riviste letterarie La Revuo (nel seguito: LR) esce con il suo primo numero nel settembre 1906. Si qualifica "Rivista letteraria internazionale mensile con la costante collaborazione del Dr. L. L. Zamenhof, autore della lingua Esperanto". La casa editrice è la libreria parigina Hachette, che ha in Europa sette corrispondenti: quello in Italia è Raffaello Giusti, Via Vittorio Emanuele 53, Livorno. La solidità della casa editrice garantisce una continuità di pubblicazione senza problemi economici, e viceversa la prolificità della produzione di Zamenhof e il pubblico di abbonati garantiscono che la rivista avrà materiale e lettori per molti numeri. Lazzaro Ludovico Zamenhof è ancora un nome magico: le sue opere sono attese dagli esperantisti, che trovano nelle sue pagine una lingua fluida, armoniosa, affascinante. La prima annata della rivista, che va dal settembre 1906 all'agosto 1907 ospita, a puntate, le traduzioni della commedia di Gogol L'ispettore generale, del dramma di Schiller I masnadieri, dell'Ecclesiaste dalla Bibbia. Lo Zamenhof traduce indifferentemente dal russo, dal tedesco, dal polacco, dall'antico ebraico, tipico esempio di quella classe culturale ebrea dell'Europa orientale. E ancora escono i suoi discorsi nei congressi, le sue Risposte linguistiche, i suoi scritti di carattere ideologico. Di altri autori appaiono traduzioni e originali: Edmond Privat, dicassettenne enfant prodige che nel 1905 ha stupito i congressisti convenuti a Boulogne-surMer per essere venuto a piedi dalla Svizzera e per essere, pur così giovane, un facondo oratore, esordisce con una lirica, Aŭtuna vespero (Sera d'autunno), che lo fa ritenere una promessa della poesia. Leone Zamenhof, fratello di Lazzaro Ludovico, scrive versi d'occasione, ma anche una lirica sentita. Ci sono traduzioni da Gorkij, Lamartine, Ŝĉedrin, Prus. La rivista annuncia e recensisce la pubblicistica in esperanto, che è in rapidissimo aumento, ma dà anche notizia di fatti letterari da tutto il mondo. In questo campo si colloca il gioioso annuncio del premio Nobel a Carducci nel 1906, seguito, in un numero successivo, da un commosso necrologio. Ne è autore monsignor Luigi Giambene, un sacerdote romano, professore di ebraico e poi anche di greco presso il Pontificio Collegio Urbano, oggi Università Urbaniana. Il Giambene fu "cameriere segreto soprannumerario di Sua Santità" Pio X, ed ebbe con lui numerosi contatti; parlò spesso di esperanto al Pontefice, tanto da essere da lui chiamato "Monsignor Esperanto". Fu estremamente efficiente anche dal punto di vista organizzativo, fondando il gruppo esperantista romano, che acquisì il nome latino di Imperiosa Civitas46. Ancora il Giambene, sotto la sigla L. G., dà notizia su La Revuo della morte di Giacosa, scrivendo un brevissimo excursus sulle sue opere. La letteratura italiana comincia così, in sordina, la sua apparizione su LR, che è una notevole cassa di risonanza nel mondo letterario esperanto. Nel volume della seconda annata (sett. 1907 - ag. 1908) compaiono le, ormai potremmo dire, istituzionalmente solite traduzioni di Zamenhof dei capolavori della letteratura mondiale: i Salmi dell'Antico Testamento, alcune fiabe di Andersen, l'Ifigenia in Tauride di Goethe, il Georges Dandin di Molière. Le notizie dall'Italia sono rappresentate da un accorato addio di Rosa Junck ad Edmondo De Amicis, morto a Bordighera dove passava l'inverno e dove era venuto ad un amichevole contatto con il gruppo esperantista locale47; e proprio la bandiera esperantista ne ha accompagnato la salma da Bordighera fino al cimitero di Torino. De Amicis fu assai popolare tra i traduttori in 46

Sull'attività di mons. Giambene e sulla posizione di Pio X nei confronti dell'esperanto, vd. C. Sarandrea, Op. cit. e G. Cardone, Il movimento esperantista cattolico in Italia, tesi di laurea in Scienze Politiche, Univ. Torino, a.a. 1973-74. 47 De Amicis fu uno dei primi intellettuali italiani ad essere fortemente favorevole all'esperanto, del quale disse "sarà di immensa utilità per tutti gli uomini" (citazione riportata in L'Esperanto, 1917). 14

esperanto: il filantropismo tardo-romantico, la passione per i ragazzi, gli episodi del Cuore in sé compiuti, la lingua semplice ma espressiva fecero sì che parecchi suoi scritti apparissero in vari periodici negli anni dal 1906 alla seconda guerra48. Il piccolo dramma in un atto, Il fiore del passato, tradotto dalla Junck e uscito a Basilea nel 1906, fu la prima traduzione apparsa come libro a sé stante e fu rappresentato al secondo congresso di esperanto a Ginevra nello stesso anno. L'intera traduzione del Cuore era stata affidata alla Junck dal De Amicis stesso; la cosa si concreterà, ma assai più tardi, ad opera di Ettore Fasce49. Alfredo Balestrazzi traduce dal latino la Prima Egloga di Virgilio; ci sono annunci di vari testi di apprendimento in italiano, che dovrebbero aiutare nell'introduzione dell'esperanto in Italia, ancora molto indietro in questo campo rispetto agli altri paesi europei. Vengono recensite anche canzoni italiane (Di' di sì di E. Travaglini, musica di L. Gianini). In quegli anni appare il I volume di una Crestomazia Internazionale50, antologia di prose redatta da Kabe, in cui figura il brano Mai più di Matilde Serao. Il Giambene pubblica una antologia, Tra la esperanta literaturo (Nella letteratura esperanto), di 50 brani in parte letterari, in parte scientifici, in parte che trattano la stilistica esperanto. Sono quasi tutti brani già apparsi nei periodici; dall'italiano, anzi dal napoletano, c'è Fenesta ca lucive, che era apparsa nel settembre 1905 su Gefrataro Esperanta (Fratellanza Esperantista). LR continua fino al 1914, producendo circa 700 pagine l'anno. Le presenze italiane sono però sempre minime; interessante nella terza annata (sett. 1908 - ag. 1909) una traduzione di un ingenuo, ma commovente racconto di Silvia Zambali, Lalla e Lilla, fatta dal maltese Gustav Busuttil, pioniere dell'esperantismo locale, eletto nel Comitato Linguistico già nel 1905. È da notare che l'esperanto è stato conosciuto a Malta tramite conferenze, libri di testo e manifestazioni in italiano, lingua usuale della classe culturale maltese dell'epoca. Il movimento esperantista italiano fu nei primi tempi articolato in gruppi locali che talvolta avevano il loro bollettino o il loro periodico regionale: ad esempio Roma Esperantisto (L'esperantista romano) a Roma, Esperanta Abelo (Ape esperantista) a Udine. L'organizzazione nazionale nasce nel 1910 a Firenze sotto il nome di Federazione Esperantista Italiana (FEI), che ha come scopo la diffusione della lingua; vi si affianca la Cattedra Italiana di Esperanto, dedita specificamente all'insegnamento. Sono quindi maturi i tempi per riviste a dimensione nazionale, nelle quali emerge Antonio Paolet (in friulano "Paulet"), un giovane tipografo e poi editore di S. Vito al Tagliamento. La prima rivista fu L'Esperanto. Lingua Internazionale. Periodico quindicinale di studio e propaganda a cura della Cattedra Italiana di Esperanto, che iniziò le pubblicazioni nel 1913, e con interruzioni, sotto nomi diversi e con gestioni e linee politiche variegate, è quella che continua ancora adesso come organo della Federazione Esperantista Italiana. I fascicoli sono piuttosto corposi, e in quei fascicoli c'è un corso di esperanto scritto in italiano, e ci sarà poi un corso di italiano scritto in esperanto, con la trascrizione di alcuni brani italiani secondo la fonetica esperanto, per insegnare la pronuncia dell'italiano. In numeri successivi ci saranno corsi anche di altre lingue; l'esperanto soddisfa così il suo requisito fondamentale: mettere in comunicazione culture diverse anche attraverso l'apprendimento delle lingue. La rivista informa su quanto di interessante succede in Italia e nel mondo riguardo ai problemi linguistici e alla loro soluzione proposta dall'esperanto. In quest'ottica è annunciata la nascita di una rubrica, Rassegna 48

Alcune opere di De Amicis furono tradotte in cinese da Bakin attraverso la traduzione in esperanto. E. De Amicis, Koro, Paolet, S. Vito al Tagliamento, 1936. Il nome del traduttore non compare esplicitamente; al suo posto vi è un semplice asterisco. 50 Kabe (red.), Internacia Krestomatio, W. Arot, Warszawa, 1907. 49

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dell'Esperanto, un inserto di quattro pagine all'interno di un periodico di Genova, L'illustrazione mensile, che ne ha sedici. In questa rubrica compaiono Sangue romagnolo e Il bove, che quindi possono considerarsi le prime opere tradotte dall'italiano in esperanto e pubblicate su un periodico italiano. Nel luglio 1913 viene annunciata una rubrica, che poi diventerà l'embrione di una antologia, dal titolo Itala animo (Anima italiana): si tratta di traduzioni dall'italiano o di articoli riguardanti l'Italia. La rubrica sarà estremamente saltuaria, ma nei primi anni propone brani impegnativi. Nel 1914 ospita Primavera (tr. Carlo Simonis), un brano tratto da Le veglie di Neri del Fucini, il canto di Ugolino in endecasillabi sciolti (tr. D. Rivoir), un brano di De Amicis, altre piccole cose. Con il 1915 il periodico, da quindicinale che era, muta in Internacia monata revuo (Rivista internazionale mensile): diminuisce la frequenza, ma si esplicita l'ambizione ad essere una rivista internazionale. Il sottotitolo è quindi in esperanto, e compaiono varie traduzioni: il Cap. V dei Promessi Sposi (tr. Gino Lupi51), Il bove (tr. Bicknell), cori dal Conte di Carmagnola e dall'Adelchi (tr. D. Rivoir), Il cinque maggio (tr. D. Rivoir), due poesie di Olindo Guerrini (tr. Bicknell), una canzone popolare veneziana (Desiderio, tr. F. Pizzi52). Nel 1915 comincia anche una rubrica linguistica redatta da Bruno Migliorini53 sui vari sinonimi in esperanto, con l'evidenziazione delle sfumature dei vari vocaboli. È, quest'ultima rubrica, un importante segno di evoluzione della lingua: il numero delle parole cresce, non siamo più al migliaio di radici del Primo libro. Per uno stesso concetto ci sono più vocaboli, l'arte ha le sue necessità che mal si conciliano con un lessico di base troppo ridotto. Spesso si leggono testi di canzoni, come Io t'amerò, Addio del volontario e Ti voglio bene assai (tr. Bicknell); nel 1917 è pubblicata una prima versione de Il sabato del villaggio (tr. Alessandro Mazzolini). Compaiono anche, sporadicamente, scritti politici, come il discorso di Salandra sull'entrata in guerra dell'Italia. Oltre a quanto pubblicato sulla rivista L'Esperanto, nello stesso periodo escono altre opere a sé stanti, capitoli da opere di Nievo (L'idillio alla fonte di Venchieredo, tr. A. Tellini54, 1910), il capitolo della peste da I Promessi Sposi (tr. P. C. Monti), brevi opere di Giusti (tr. A. Tellini), la Guida del Trentino di Cesare Battisti (tr. A. Mondini, 1913). 1.4 Una nuova antologia Un significativo giro di boa nella poesia si ha con El Parnaso de la popoloj (Dal Parnaso dei popoli), di A. Grabowski (Ed. Pola Esperantisto, Varsavia, 1913). È un'antologia poetica, che arriva precisamente vent'anni dopo La Liro de la Esperantistoj. Quali novità? Iniziamo da una delle sei poesie originali messe all'inizio. Una delle accuse fatte alla validità di una lingua pianificata come lingua letteraria era che, essendo la morfologia estremamente regolare, potevano solitamente rimare tra loro soltanto parole della stessa categoria grammaticale: un sostantivo singolare con un sostantivo singolare, un indicativo presente con un indicativo presente, un avverbio derivato con un avverbio derivato, un infinito con un infinito. Che questo crei monotonia e quindi abbassi il valore letterario sarebbe da discutere: ad esempio, in 51

Gino Lupi fu docente di rumeno a Ca' Foscari, dove tenne anche corsi di esperanto. Francesco Pizzi (1880 - 1946), bibliotecario, molto attivo nel movimento esperantista cattolico. Fu anche un apprezzato poeta originale. 53 Bruno Migliorini (1896 - 1975), insigne linguista, vocabolarista e storico della lingua italiana, fu presidente dell'Accademia della Crusca. Profondo conoscitore dell'esperanto, fu anche un attivista nel movimento, fondando gruppi esperantisti a Rovigo e Venezia. Membro del Comitato Linguistico, divenne poi vicepresidente dell'Accademia di Esperanto, supremo organo linguistico della comunità esperantofona. 54 Achille Tellini (1866 - 1938), geologo e profondo studioso della lingua ladina. 52

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italiano non viene affatto sentita come rima troppo facile e quindi banale una rima tra due infiniti della stessa coniugazione o tra due participi. Il Grabowski contesta tale accusa di monotonia o di banalità, e in una poesia di dieci quartine a rime alterne abab riesce a far rimare parole di categorie differenti, utilizzando nomi propri, troncamenti, preposizioni, pronomi, congiunzioni, numerali, esclamazioni, particelle varie, parole tutte che sfuggono alle desinenze obbligate. La poesia è un virtuosismo e si legge con un sorriso di apprezzamento per l'autore che ha saputo dimostrare come certe accuse di scarso valore letterario siano inconsistenti; ma è un esempio di quanto la tecnica poetica si sia evoluta in un quarto di secolo dalla nascita della lingua. Le poesie della Liro del 1893, ma anche quelle della Fundamenta Krestomatio del 1903, appaiono lontane: non vi sono costruzioni forzate per sostenere il ritmo di un verso o per ricercare una rima altrimenti difficile, la poesia tradotta si legge e si recita come una originale. Del resto, una traduzione che non sia valida come poesia a sé stante, indipendente dall'originale, certo non soddisfa il compito principale del traduttore: trasmettere un'immagine autentica del livello artistico della poesia originale, e quindi dell'autenticità artistica del poeta che si traduce. In El Parnaso de la popoloj spesso all'inizio della composizione è indicato il ritmo di lettura, solitamente una successione di trochei e amfibrachi, a volte con una sillaba soprannumeraria in inizio di verso o dopo una cesura. Certo, ci sono ancora margini di miglioramento, e varie poesie che compaiono qui avranno poi altre redazioni migliori; ma il Grabowski, che è l'autore di tutte le 110 traduzioni da 30 lingue, si afferma davvero come il "padre della poesia in esperanto". Ben 44 sono traduzioni dal polacco, lingua in cui il Grabowski si sente perfettamente a suo agio, ma figurano il georgiano e il serbo, il fiammingo e il greco moderno, il latino e il giapponese55. L'italiano figura con quattro poesie: l'arietta del Metastasio già presente nella Liro (ma in forma rimodernata), il sonetto Tanto gentile di Dante, e due canzoni: Caro mio ben (musica di Tommaso Giordani) e L'ho veduta distesa sul suo letto (musica di Luigi Denza). Le due canzoni sono perfettamente cantabili secondo le melodie dei versi italiani. Anche altre composizioni in altre lingue sono brani musicati. Più ricco per quanto riguarda l'italiano il ben più modesto Postrikolto56 (Spigolatura), un piccolo opuscolo con 20 poesie, apparso postumo nel 1921 subito dopo la morte di Grabowski, a cura del suo collaboratore spagnolo Julio Mangada Rosenörn57. L'autore lo intendeva come supplemento a El Parnaso de la popoloj, e vi figurano ancora altre lingue, come il maltese. Per l'italiano c'è Di se stessa invaghita e del suo bello del Tasso, Mia Madre di De Amicis, Assona il cielo bianco il vento stanco di Fogazzaro, È buja la valle, ma i pini del monte di Tommaseo. Per quanto uscito nel 1921, il supplemento Postrikolto può considerarsi l'ultima antologia con struttura prebellica: le poesie si susseguono in ordine alfabetico di lingua, non vi è nessun criterio di scelta, lo scopo è quasi di stupire con il numero delle lingue, per dimostrare che l'esperanto apre molte più porte che non una lingua nazionale. L'intento propagandistico tuttavia si sposa con la realtà: nelle lingue nazionali non sono frequenti antologie con traduzioni da un numero così elevato di lingue, in particolare non sono frequenti traduzioni da lingue poco note; e proprio a queste l'esperanto dà una dignità fino allora sconosciuta, adempiendo al suo compito di abolire differenze basate non sul valore letterario delle singole opere, bensì sul prestigio delle singole lingue in cui tali opere sono scritte. 55

Come già accennato in una nota precedente, è poco probabile che il Grabowski abbia tradotto da trenta lingue senza alcun aiuto: per quanto poliglotta, avrà certamente usato delle lingue ponte o la collaborazione di altri. 56 A. Grabowski, Postrikolto, Madrid/Warszawa, 1921. 57 Julio Mangada Rosenörn (1877 - 1946), colonnello dell'esercito spagnolo, medaglia d'oro, si distinse nelle milizie repubblicane durante la guerra civile. Molto attivo nel movimento esperantista come redattore e poeta, redasse una antologia di poesia spagnola in esperanto. 17

Capitolo II DA UNA GUERRA ALL'ALTRA 2.1 Le riviste italiane del primo dopoguerra La prima guerra mondiale trova il movimento esperantista ancora in fase di organizzazione. I congressi internazionali hanno già acquisito una loro routine, si svolgono regolarmente ogni anno, non solo in Europa, dove ci sono i principali centri esperantisti, ma anche negli Stati Uniti58. La struttura organizzativa è però ancora debole, basata quasi esclusivamente sul volontariato. La Revuo cessa le pubblicazioni nell'agosto 1914, il suo redattore e principale animatore Carlo Bourlet era morto nel 1913 e la casa editrice Hachette, che aveva avuto la tendenza a monopolizzare le pubblicazioni in esperanto, liquiderà invece la sua sezione esperanto subito dopo la guerra. Anche le associazioni nazionali in Europa hanno delle difficoltà: gli esperantisti sono in generale pacifisti e internazionalisti, e il trauma della guerra è stato per molti di essi devastante. La censura militare italiana include l'esperanto tra le lingue "non permesse", e sull'altro fronte la rotta di Caporetto causa l'invasione del Friuli da parte degli Imperi Centrali, il che comporta la cessazione della rivista L'Esperanto, che si pubblica a S.Vito al Tagliamento. L'Associazione Mondiale di Esperanto (UEA), che, come abbiamo visto, era nata nel 1908 per offrire servizi agli utenti della lingua, ha la sua sede a Ginevra, ed essendo in un paese neutrale rimane fuori dal conflitto; essa quindi non risente direttamente della guerra e si adopera come tramite per smistamento di pacchi e di corrispondenze tra paesi belligeranti e per il ritrovamento di persone59. Nel 1917 muore a Varsavia lo Zamenhof, all'età di 58 anni. Alla fine del 1915 aveva pubblicato un Appello ai diplomatici, esprimendo l'auspicio che la carta d'Europa non venisse ancora una volta ritagliata e rammendata secondo gli interessi delle grandi potenze, ma che venissero rispettati i popoli secondo il principio: Ogni paese appartiene moralmente e materialmente con diritto assolutamente uguale a tutti i suoi figli. (Non molto diversi, ancorché posteriori, furono alcuni dei "quattordici punti" di Wilson e le tesi di Masaryk60.) In particolare Zamenhof insisteva sulla parità linguistica di tutti i popoli nei nuovi stati che si fossero venuti a creare, e suggeriva nomi di stati che non privilegiassero il nome di un popolo, ancorché maggioritario in quello stato, ma fosse ad esempio legato al nome della capitale. Venivano anche proposte una federazione di Stati Uniti d'Europa e l'istituzione di un Tribunale Europeo Permanente, proposte che precedevano di oltre quarant'anni quanto poi si concretò. La morte del "Maestro" è un gravissimo colpo per il movimento che vede estinguersi un faro61, nonostante che lo Zamenhof avesse già dal 1912 dismesso qualsiasi esposizione di sé 58

Il congresso del 1910 si svolse a Washington e quello del 1915 a San Francisco (quello del 1914 a Parigi fu sospeso per lo scoppio della guerra). Dopo il conflitto i congressi ripresero nel 1920 ed ebbero una nuova sospensione dal 1940 al 1946; si svolsero tutti in Europa fino al 1965, quando il congresso fu a Tokio. L'eurocentrismo del movimento esperantista si è andato successivamente affievolendo e negli ultimi trent'anni i congressi sono stati tenuti non di rado in Asia, America, Australia. 59 Il numero di servizi effettuati in questo ambito si aggira sui 100.000, tutti operati da volontari esperantisti. Per questa sua attività umanitaria specifica, così come per la sua attività di diffusione degli ideali di pace e di fratellanza, l'UEA è stata più volte candidata al premio Nobel per la pace. 60 T. G. Masaryk, La Nuova Europa (tr. F. Giuliano e F. Leoncini), ed. Studio Tesi, Pordenone-Padova, 1997. 61 Commoventi sono due poesie commemorative, di C. Bicknell e di B. Migliorini, comparse in questa occasione su L'Esperanto. 18

anche nei congressi, dove prima teneva sempre la conferenza inaugurale ed era comunque il personaggio più in vista62. Il Comitato Linguistico era sotto la presidenza di Boirac, le varie associazioni nazionali avevano ciascuna la sua vita propria, la Universala Esperanto-Asocio pubblicava una rivista di larga diffusione, l'editoria aveva assunto una dimensione di sicura stabilità, garantita da un pubblico non vasto, ma fedele. Il mondo esperantofono quindi poteva sopravvivere senza Zamenhof, che non aveva più nessuna carica ufficiale, ma aveva mantenuto intatto il suo prestigio e la sua autorità morale: come modello di lingua restavano indiscusse le sue opere, varie delle quali erano ancora in manoscritto alla sua morte, come le traduzioni del Vecchio Testamento o delle Fiabe di Andersen. I movimenti nazionali vivono momenti diversi. La popolarità dell'esperanto nei paesi slavi ha un'impennata con l'acquisizione dell'indipendenza dei popoli dell'Europa Centrale e la costituzione della Cecoslovacchia e della Jugoslavia. Il governo russo stabilitosi con la rivoluzione sovietica in un primo tempo sembra guardare con favore all'internazionalismo collegato naturalmente all'idea di una lingua internazionale. Nascono associazioni di lavoratori esperantisti, se non in netto contrasto, certo in alternativa alle associazioni di stampo borghese. In Italia vi fu una polemica in ambito socialista, che ebbe poi un qualche influsso nella diffusione dell'esperanto in certi ambienti italiani negli anni immediatamente successivi alla fine della prima guerra. La cosa è piuttosto sorprendente, perché le ideologie socialista ed esperantista di affratellamento dei popoli erano sempre state contigue. Nel 1913 gli esperantisti si congratulano per l'elezione "del nostro consocio F. Turati". Oddino Morgari, influente deputato socialista, per anni diresse la rivista popolare Sempre Avanti di Roma, che aveva una pagina dedicata all'esperanto. Morgari aveva visitato la sede dell'UEA a Ginevra e da quella esperienza aveva tratto lo spunto per scrivere alcuni articoli pubblicati tra il 19 e il 27 agosto 1915 su l'Avanti!, articoli che poi furono riuniti in un opuscolo intitolato La più internazionale delle internazionali. Nel numero dell'Avanti del 24 gennaio 1918 Vezio Cassinelli, che si qualifica "umile operaio", propone che nell'Istituto di cultura socialista, della cui fondazione si andava discutendo, trovi posto l'esperanto, e che ne sia favorito lo studio per facilitare la comprensione tra i lavoratori delle nazioni più diverse, che spesso si trovano a contatto senza potersi capire nel "laboratorio cosmopolita dell'America del Nord". La redazione commenta: La lingua internazionale è uno sproposito, scientificamente. Le lingue sono organismi molto complessi e sfumati, che non possono esser suscitati artificialmente. […] Ci pare che i socialisti farebbero opera più meritoria e di più utile efficacia se, gettando tra i ferrivecchi l'ideale impossibile, antistorico (e perciò non ideale, ma trastullo da perditempi) della lingua internazionale, si adoperassero con maggior energia per eccitare all'apprendimento delle lingue parlate in modo più preciso e ricco di possibilità espressive.

Tale commento non è firmato, e poi apparirà essere di Antonio Gramsci, allora ancora studente. Due giorni dopo compare un altro articolo, verosimilmente del direttore Serrati, che cita molte lettere in difesa dell'esperanto giunte al giornale a seguito del commento sopracitato. E conclude: "L'Esperanto vuole rispondere a questo bisogno di intesa internazionale. Perché, in nome della scienza, impedire questo tentativo pratico? Che male fa?" 62

Lo Zamenhof negli ultimi anni si era dedicato maggiormente ad una filosofia, il Hillelismo ispirato ad un dottore ebreo la cui interpretazione della Legge dava molta importanza all'amore per il prossimo. Di questa filosofia di considerare l'umanità come una specie unica sopravvisse solo l'unità linguistica, perseguita tramite l'esperanto. 19

Il 27 gennaio appare una lettera di Ruggero Panebianco, che si firma "Esperantista Socialista" e dice tra l'altro: … che l'Esperanto non sia artistico non è esatto. Quando una lingua non si conosce, non si può asserire se sia o non sia artistica. […] Del resto un mio collega, grecista ed artista, il quale, avendomi vista in mano la traduzione Esperanta (sic) dei "Masnadieri" di Schiller disse che senz'altro l'Esperanto non è artistico, si ebbe a ricredere quando gli feci leggere una bella poesia tradotta in Esperanto, la quale - per la sua brevità - egli poté leggere, capire e gustare.

La polemica durò ancora per qualche numero, con scritti di Gramsci che sempre dichiaravano come l'esperantismo fosse da combattere, in quanto "mentalità utopistica". Gli rispose ancora Serrati dicendo "gli esperantisti fanno quel che faceva il filosofo a chi negava il moto. Camminano." Qualche giorno dopo, Filippetti, un medico che sarà sindaco di Milano (poi sostituito dal regime fascista con un podestà) e introdurrà l'esperanto nella sesta classe elementare che si teneva durante il periodo di ferie63, risponderà: … come si vuole impedire a noi socialisti internazionalisti, lanciandoci in volto lo scherno di "folli utopisti", di essere anche "esperantisti"? Noi sentiamo che lavoriamo, sia pure in un campo secondario e modesto, per l'attuazione dell'unione internazionale dei lavoratori; noi vogliamo rovesciare un barriera, e non delle minori, che dividono l'unica classe lavoratrice mondiale. Noi lavoriamo per il Socialismo.

La polemica cessò sull'Avanti, ma Gramsci volle ancora rispondere sul settimanale socialista Il grido del popolo, il 16 febbraio 1918. Del suo lungo intervento riprendiamo soltanto due frasi: … come potrebbe affermarsi una lingua internazionale, tutta artificiale, tutta meccanica, priva di ogni storicità, di ogni suggestione di grandi scrittori, priva di quella ricchezza espressiva che viene dalla varietà dialettale, dalla varietà delle forme assunte nei diversi tempi? […] Convinciamocene: l'Esperanto, la lingua unica non è altro che un'ubbia, una illusione di mentalità cosmopolitiche, umanitarie, democratiche, non ancora rese fertili, non smagate dal criticismo storico.

Gramsci si esprime contro l'idea di una lingua internazionale, in quanto la vede proposta prima che se ne creino le condizioni politiche, economiche e sociali. In realtà, se la lingua è nata, si è moderatamente sviluppata, ha creato dei valori artistici, significa che le condizioni, sia pure in ambiti ristretti, si erano già create. Ancora nei Quaderni del carcere del 1935 Gramsci nei suoi saggi sulla grammatica e sulla lingua unica parla dei "fautori fanatici delle lingue internazionali". Gli studiosi di Gramsci di formazione marxista riconosceranno poi che le sue teorie erano datate e, in una situazione fortemente mutata, andrebbero riviste: "È fin troppo evidente che […] certe posizioni gramsciane possono apparire invecchiate e decisamente superate…"64. Altri studiosi di diversa estrazione culturale commentano: … una spiegazione più attuale di tale atteggiamento si può cogliere nella differenza sostanziale fra l'intellettuale esperantofono e quello italofono influenzato dal marxismo. Per quest'ultimo nessun cambiamento sociale è possibile prescindendo dai fatti economici, ai quali egli riconosce una priorità 63

Sotto il sindaco Filippetti una strada di Milano, nel quartiere Ticinese, fu intitolata a Zamenhof; Milano fu dunque la seconda città del mondo, dopo l'anarchica Sabadell in Spagna, a rendere omaggio all'ideatore dell'esperanto. Con le leggi razziali il nome fu cambiato in via Fiamme Tricolori; il nome originario fu ripristinato dopo la caduta del fascismo. È da notare che Il popolo d'Italia, organo del Partito Nazionale Fascista, diffuse la notizia, totalmente falsa, che il nome della strada fosse stato cambiato per iniziativa popolare, e che in una notte le targhe fossero state coperte con un manifesto che portava il nome nuovo, per stimolare l'amministrazione comunale ad effettuare il cambiamento della toponomastica. (Vd. l'articolo di P. Marelli, in L'esperanto, 6, 1983, p. 10). 64 A. Carannante, Antonio Gramsci e i problemi della lingua italiana, "Belfagor", XXVII, 5, 1973, pp. 544-556. 20

assoluta; dall'altra parte, le riforme più importanti sembrano essere quelle di costume - fra le quali, quella che modifica la mentalità dell'individuo, attraverso l'apertura a contatti personali non controllabili da alcuna multinazionale o apparato burocratico, appare di primaria importanza, ed è attuabile, a tutt'oggi, solo attraverso l'apprendimento di una lingua come l'esperanto.65

Ha scarso senso oggi riconoscere la maggiore validità di una posizione rispetto all'altra. La posizione, estremamente dogmatica, di Gramsci si ritroverà anche in altri intellettuali di scuola non marxista: nonostante il progredire degli studi filologici avesse da gran tempo dimostrato come ogni lingua sia frutto di una più o meno cosciente pianificazione, e l'illusione che "le lingue nascono dal popolo" fosse, quella sì, una posizione romantica sorpassata, ancora molti intellettuali guardavano all'esperanto con sospetto per via della sua nascita a tavolino, come se lo sviluppo di più generazioni con un totale di alcuni milioni di parlanti non fosse sufficiente a riscattare la lingua da questo suo peccato originale. Vedremo come l'atteggiamento degli intellettuali italiani si sia diversificato durante l'ultimo secolo. Della polemica sopra riportata un punto tocca il nostro tema: la bellezza di una lingua pianificata, e la possibilità di creare valori letterari. Riguardo al primo punto appare plausibile che il bello o il meno bello di una lingua non conosciuta abbia forti attinenze con i suoni a cui ognuno è abituato, e che il bello di una parola sia fortemente collegato al significato della stessa66. Riguardo al secondo punto, la risposta migliore è data dall'esame dei valori effettivamente creati. Accenniamo qui ad un'opera concepita negli anni attorno alla guerra, ma che non fu pubblicata allora e quindi non ebbe l'influenza che avrebbe potuto avere. Nel 1910 il trentino Giovanni Peterlongo67 iniziò a tradurre la Divina Commedia in endecasillabi sciolti, e completò l'opera a Linz, dove era stato internato dalla polizia austriaca in quanto italiano. Si trattava di una delle più grandi opere di traduzione in poesia, e di gran lunga la più grande dalla letteratura italiana; si sarebbe collocata vicino al Signor Taddeo di Mickiewicz, epopea polacca tradotta dal Grabowski che vede la luce nel 1918. La traduzione del Grabowski era assai fedele, in alessandrini68 a rima baciata. Al confronto la traduzione della Divina Commedia poteva apparire perdente, perché non era stata mantenuta la struttura rimata della terzina. Inoltre Peterlongo aveva lavorato isolato, non attorniato da una cerchia di cultura esperantista, e quindi era rimasto con l'idea dei primi propagandisti che il lessico dovesse essere molto limitato e si dovessero utilizzare piuttosto tutte la possibilità intrinseche della lingua, con gli affissi, i suffissi, le parole composte. Il Peterlongo morì prima di poter rivedere l'opera e portarla al livello di modernità necessario; la sua versione del poema sarà pubblicata, revisionata, quarant'anni dopo, in un'edizione di lusso, con tutte le tavole del Botticelli69.

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G. Silfer, Gramsci e l'esperanto: storia di un malinteso, "Lombarda esperantisto", 14, nov. 1983, pp.2-7. Durante il primo Congresso di Interlinguistica, tenutosi a Budapest nel 1978, con partecipanti di varie nazioni (dall'Italia partecipavano professori delle università di Torino, Venezia, Padova e Roma) fu chiesto a tutti di indicare la parola più bella della propria lingua, e il vocabolo più gettonato in ciascuna lingua fu quello corrispondente a "stella". L'esperimento, forse anche influenzato dal fatto che fu svolto in una notte serena, non andava al di là di un valore ludico, ma appoggiava l'ipotesi che il significato avesse forte impatto sul parametro della bellezza. 67 Giovanni Peterlongo (1858 - 1941), funzionario comunale, fu il primo sindaco italiano di Trento e poi commissario governativo fino al 1926. 68 Il verso alessandrino (così chiamato perché usato per la prima volta nel poema Roman d'Alexandre del 12° secolo) è il verso tipico della poesia classica francese, di 12 sillabe con una cesura dopo la sesta. In polacco ha 13 sillabe, con accenti sulla sesta e dodicesima, e così è la forma ritmica in esperanto. In italiano fu imitato con il settenario doppio o martelliano. 69 Vd. Cap. III. 66

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La letteratura italiana, come abbiamo già detto, comincia a conquistarsi spazi su riviste italiane, dedicate per lo più a notizie del movimento70. Vengono pubblicati molti manuali di apprendimento con brani di letteratura originale e tradotta; si diffondono anche libri di lettura per approfondimento (resterà famoso l'Esperanta Legolibro di Bruno ed Elio Migliorini, pubblicato da Paolet nel 1925, in uso ancora adesso, rimodernato in numerose edizioni successive). I periodici di quegli anni, che acquisiscono diffusione anche internazionale, sono nominalmente sei: § l'esperanto (gennaio 1920 - dicembre 1922; gennaio 1928 - maggio 1929), edito da Paolet; § Itala Esperantisto (febbraio - settembre 1921), pubblicato a Milano; § Itala Esperanta Revuo (gennaio 1923 - dicembre 1927) edito da Paolet; § Bollettino Ufficiale della Federazione Esperantista Italiana (gennaio - settembre 1924), pubblicato a Verona. § Rivista Italiana di Esperanto (1930 - 1931) § Esperanto (1932 - 1939) edito dal Centro Esperanto di Milano L'avvicendarsi di nomi e luoghi di pubblicazione sono solo fatti formali, che riflettono maggiori o minori rispondenze tra l'editore Paolet, la Federazione Esperantista Italiana e il Centro Esperanto di Milano. Tralasciando Itala Esperantisto e il Bollettino ufficiale della FEI, che durano pochi mesi e sono principalmente di informazione sull'attività dei gruppi esperantisti, le altre riviste si danno la staffetta una con l'altra, ed è su queste che possiamo trovare contributi riferentisi alla letteratura italiana. La prima di queste riviste, l'esperanto (scritto in minuscolo), è semplicemente la ripresa postbellica della rivista del Paolet di S. Vito al Tagliamento, le cui pubblicazioni si erano interrotte alla fine del 1917 con l'invasione austro-ungarica. Nel primo anno esce con cadenza bimestrale ed è maggiormente dedicata alla propaganda, e quindi in larga parte in italiano; con il 1921 diventa invece un periodico culturale rigorosamente mensile, tutto in esperanto, molto più di lusso, in carta satinata, con un numero maggiore di pagine: vi compaiono recensioni e traduzioni, poesie e racconti, c'è una rubrica turistica sull'Italia. Ci sono varie traduzioni da Giacosa (la versione di Una partita a scacchi, dei fratelli Padulli, è a rime baciate, a differenza di quella precedente del Bicknell); altre traduzioni sono dalle Pagine sparse di De Amicis (tr. Carlo Simonis), dal cap. V de I promessi sposi (tr. G. Lupi), da D'Azeglio (tr. E. Migliorini), Il lupo di Gubbio dai Fioretti (tr. L. Ravanelli), alcune Novelle del Sacchetti (tr. E. Migliorini). Appare anche una grammatica di friulano di Don Giacomo Bianchini. Con il settembre 1921 interviene un accordo, e la rivista del Paolet diventa anche organo della FEI, che rinuncia quindi ad un suo organo proprio; alla fine del 1922 la rivista ha abbonati in 50 paesi, perfino a Giava e in Birmania, e la cultura italiana diventa quindi di larga accessibilità attraverso le traduzioni in esperanto. Con il 1923 la rivista cambia il nome in Itala Esperanta Revuo, che tradotto letteralmente significa "Rivista Italiana di Esperanto", ma il nome in italiano viene annunciato come Rivista Esperantista d'Italia. Non è semplicemente una traduzione poco fedele: nel nome in italiano il nuovo gruppo dirigente vuole staccarsi dal nome della lingua, e vuole piuttosto porre l'accento sull'italianità della rivista e del gruppo che essa rappresenta. Il cambiamento non è del tutto staccato dall'atmosfera che si stava instaurando con l'ascesa al potere del partito fascista. Nel luglio 1923 la rivista pubblica la notizia di "una lunga e cortese risposta a firma di S. E. 70

Le notizie sulla stampa esperantista fino al 1926 sono riprese da Lombarda esperantisto, ni 12 e 13, luglio e settembre 1983, dove è riportato un intervento di Valerio Ari al 9° Congresso dell'Istituto Nazionale per la Storia del Giornalismo, dedicato alla stampa periodica in Italia dal 1919 al 1926, anno delle leggi speciali. Tutti i dati citati sono stati ricontrollati sui periodici originali che si trovano nell'archivio della Federazione Esperantista Italiana (FEI) a Milano. 22

Acerbo, per il Presidente del Consiglio [Benito Mussolini], nella quale il governo dichiara di compiacersi delle direttive che animano l'azione dei promotori dell'Esperanto in Italia", e Mussolini stesso ha parole di plauso per i pieghevoli turistici in esperanto di Venezia mostratigli durante una sua visita alla città. Ai primi di aprile del 1923 si svolge a Venezia la Conferenza per la Lingua Comune del Commercio e del Turismo, sotto gli auspici del Ministero dell'Industria e del Commercio. "Vi aderiscono circa duecento camere di commercio, tutte le fiere campionarie europee, gli enti turistici di ventisette stati. Le mozioni finali, trasmesse a Ginevra alla Lega della Nazioni, riconoscono la necessità di un linguaggio internazionale per gli scambi commerciali e indicano nell'esperanto la migliore soluzione."71 La conferenza di Venezia ha come lingua l'italiano, ma i lavori si svolgono quasi subito in esperanto: molti delegati conoscono tale lingua già da tempo, altri l'avevano studiata da poco. La serata teatrale offre in esperanto Una partita a scacchi del Giacosa nella traduzione del 1921 dei fratelli Padulli72. Nel relativo successo della lingua, che vede crescere la sua popolarità e acquisisce una serie di riconoscimenti ufficiali, la rivista ondeggia tra due poli. Il primo pone in risalto l'approvazione del regime, come è la linea della nuova generazione dei dirigenti della FEI, che risponde così ad accuse di antiitalianità che si levano da più parti nei confronti di un movimento che è, per sua natura e tradizione, internazionalista. Il secondo estremo mantiene invece un significativo distacco dal regime e dalla sua politica, e si rifugia nel dedicarsi maggiormente alla letteratura, sia originale che tradotta dall'italiano. Continuano a leggersi nomi conosciuti dall'anteguerra: Bruno Migliorini (da L'idioma gentile di De Amicis), Elio Migliorini (dalle Lettere di Leopardi; i due fratelli insieme hanno tradotto aneddoti su Dante), Pier Carlo Monti (traduttore dei racconti del Cuore), Achille Tellini (I doveri degli uomini del Pellico), Alessandro Mazzolini, Francesco Pizzi (I fioretti di S. Francesco, 1926). Ma accanto ad essi cominciano ad apparire nomi nuovi: Amerigo Luigi Reni, Rinaldo Orengo73 (da Goldoni e dalle Operette morali, anche sulla rivista inglese International Language, sotto lo pseudonimo Mevo), Corrado Grazzini, Michele Arabeno (traduttore de I doveri dell'uomo di Mazzini, 1922, distribuito in 10.000 copie), Lina Caporali (da Leopardi), Mirza Marchesi (Pinocchio, 1930), Fidia Cesarini (traduttore di alcune Leggende napoletane e altri scritti di Matilde Serao), Ermanno Filippi, P. Ravanelli, Stefano La Colla, Giovanni Saggiori, Ettore Fasce, Rodolfo Castagnino (Cavalleria rusticana, 1923), Giovanni Della Savia, Carolina Minio (in seguito: Minio-Paluello). Non tutti gli autori italiani tradotti hanno poi meritato un posto nelle enciclopedie; talvolta si è trattato di pubblicazioni turistiche, come Milano e i laghi della Lombardia (tr. R. Orengo, 1931) o della Guida di Roma (tr. C. Minio-Paluello e L. Minnaja, 1935) edite dal TCI, o di vari pieghevoli turistici editi dall'E.N.I.T; talaltra di pubblicazioni politiche, come alcuni scritti del Duce, o ancora di cose assolutamente minime di notorietà del tutto effimera. Del 71

Citazione da Valerio Ari, Le pubblicazioni esperantiste in Italia, "Lombarda esperantisto", 12, 1983, pp. 2-6. Il manifesto della commedia indica, nel ruolo di Paggio Fernando, l'affermato avvocato veronese Attilio Vaona, presidente della FEI, e nel ruolo di Jolanda la diciannovenne studentessa veneziana C. Romillo (pseudonimo di Carolina Minio). 73 Rinaldo Orengo (1895 - 1991), ingegnere elettrotecnico; nel 1930 istituì un ufficio esperantista a Milano, distrutto poi nei bombardamenti; membro del Comitato Linguistico e del direttivo dell'Associazione Mondiale di Esperanto, fu uno dei principali organizzatori del congresso di Roma nel 1935, nel quale fu rappresentata la sua traduzione da Goldoni. Ha tradotto anche La cena delle beffe di Sem Benelli e alcune cose di Leopardi. 72

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pari, i traduttori non sempre sono poi rimasti negli annali della letteratura esperanto: tra essi c'erano dei linguisti di altissima competenza, come Bruno Migliorini e Achille Tellini, professori universitari di altre materie come il geografo Elio Migliorini, persone di cultura enciclopedica generale, come Stefano La Colla74, stimati professionisti, come l'ing. Rinaldo Orengo e il medico Pier Carlo Monti, insegnanti appassionati come Mirza Marchesi, Alessandro Mazzolini e Carolina Minio-Paluello; ma a questi si affiancavano anche persone di livello culturale meno elevato, volonterosi adepti dell'idea di una lingua internazionale non etnica, che, allo scopo della sua diffusione, da propagandisti si fecero anche traduttori, acquisendo una certa competenza e trovando nel mondo esperantista una realizzazione dei loro ideali. Si può notare in questo dopoguerra uno spostamento degli interessi dei traduttori. Mentre nel primo periodo furono tradotti quasi soltanto brani di contemporanei, forse, consciamente o inconsciamente, alla ricerca di un atteggiamento favorevole all'esperanto da parte della classe culturale dell'epoca, negli anni Venti si ha un interesse anche per gli autori precedenti: oltre al pluritradotto Dante, compaiono opere di Boccaccio, Baldassarre Castiglione, Vittoria Colonna, Goldoni, Gasparo Gozzi, Petrarca, Sacchetti, San Francesco, Tasso, Gaspara Stampa. Nel 1925 appare sulla rivista il primo articolo di Mussolini in esperanto, in occasione del settimo centenario della morte di S. Francesco. Ai vertici della FEI sono elette personalità gradite al regime, con lo scopo di proteggere l'autonomia dell'esperantismo italiano e la sua tradizione internazionalista da pressioni dall'alto. L'escamotage non riesce: Itala Esperanta Revuo diventa sempre meno autonoma e sempre più filofascista, vengono riportati pari pari degli episodi presi da giornali italiani, ben allineati al regime. Il numero di pagine quasi si dimezza, e la rivista è sempre di più in italiano. Nel 1927 una mozione approvata all'unanimità dal XXII congresso nazionale di esperanto "dà mandato alla FEI di presentare al Governo Nazionale e al Partito Nazionale Fascista il suo voto più fervido: quello dell'uso anche dell'Esperanto quale mezzo di difesa e di diffusione dell'Italianità all'estero!"75 Per i tipi di Paolet esce La Roma antica sul mare di Mussolini (1928, tr. E. Fasce) e poi la Carta del Lavoro (1928, tr. A. L. Reni). Paolet è, a parte qualche pubblicazione di minore importanza, l'editore che ha quasi il monopolio delle edizioni in esperanto che appaiono in Italia; lo resterà ancora per parecchi anni dopo la fine del secondo conflitto, di fatto fino alla morte, avvenuta nel 196076. Da semplice tipografo egli diventa uno dei protagonisti della diffusione della cultura italiana attraverso la lingua internazionale. La vocazione internazionalista lascia definitivamente il posto ad una affermazione del nazionalismo. Il nome della rivista diventa italiano, Rivista italiana di Esperanto, e nel numero inaugurale del 1930 viene espresso un chiaro indirizzo politico: È perciò che noi sentiamo il dovere come fascisti e come italiani, e poi, ma molto poi, come esperantisti - in quanto essere esperantisti non significa appartenere ad una casta, partito o comunque associazione semisegreta, ma solo dividere con altri un unico e limitato punto di vista - intendiamo 74

Stefano La Colla (1889 - 1966), paleografo, archivista, membro del comitato di redazione dell'Enciclopedia Italiana fondata da G. Treccani. Redattore di un periodico linguistico di esperanto, saggista, fu l'iniziatore di un vocabolario italiano-esperanto (vd. Cap. IV e Cap. V). 75 Citazione così come riportata da Valerio Ari, Le pubblicazioni esperantiste in Italia - 2, "Lombarda esperantisto", 13, 1983, pp. 2-5. 76 Ad Antonio Paolet il comune di S. Vito al Tagliamento ha dedicato una strada nel 2004, con cerimonia ufficiale. 24

esportare il fascismo, ora che il fascismo non rappresenta un partito, non rende le idee di dieci o mille persone, ma segna la volontà tetragona di cinquanta milioni di uomini. Esportare il fascismo significa, Signori, non solo far conoscere le già note acque glauche del Garda o dell'Amarissimo, gli Zeus romani che si ritrovano innumerevoli solo muovendo con l'erpice i nostri campi […], ma significa altresì precisare all'estero i nostri bisogni; dimostrare che la crescente demografia abbisogna di terreni e di espansione; convincere che Malta e Dalmazia sono cose nostre, come nostro è Vittorio Veneto; […]. […] Questo programma non potrà piacere ad uno o due illusi, a quelli cioè che credono nella bontà degli uomini, nella pace universale, nella pratica importanza delle varie società delle Nazioni…

E nel commiato del dicembre 1931, che prelude ad un ennesimo cambio di titolo, troviamo: Ed ora ultimata la nostra missione, rientriamo fra i gregari, per appoggiare con ogni forza, a Voi uniti, il nuovo "Esperanto", al cui Direttore, camerata La Colla Nicolò77, pubblicista torinese, inviamo i nostri fraterni e migliori auguri.

Il movimento esperantista ufficiale appare dunque diventato uno strumento della propaganda imperialista del regime, e negli anni Trenta la letteratura del nostro paese trova poco posto sulla rivista italiana, assai meno che nel decennio precedente. Esce a puntate Un curioso accidente (tr. R. Orengo), poi Pianto antico (tr. Enrico de Montagù, 1936), e di D'Annunzio La beffa di Buccari (tr. L. Minnaja, 1938). Compaiono traduzioni importanti, ma maturate fuori d'Italia: alcuni canti dell'Inferno, in terzine (tr. K. Kalocsay), una poesia di Ada Negri (tr. L. Belmont). È sempre più presente la politica: esce un discorso di Mussolini sul "Patto a Quattro" (tr. M. A., probabilmente Michele Arabeno). Moltissimi numeri non hanno niente di letterario, e la lingua usata è sempre più quella nazionale. Ma nel frattempo sono nate all'estero altre possibilità di espressione per la letteratura e la cultura italiana. 2.2 La cultura italiana attorno alla rivista Literatura Mondo La cessazione della rivista letteraria La Revuo avvenuta nel 1914 viene sentita come grave carenza qualche anno dopo; gli anni dal 1914 al 1919 erano stati troppo pieni di eventi sanguinosi e comunque drammatici per pensare a diffondere internazionalmente una produzione letteraria. Si sente quindi, con l'inizio degli anni Venti, il bisogno di qualcosa che sostituisca il periodico cessato. La Francia è ancora sotto l'incubo delle invasioni e della distruzione e, nonostante il trattato di pace, sente sempre i tedeschi come nemici; le possibilità di passare dall'una all'altra riva del Reno sono ancora molto limitate. A sua volta la casa editrice Hachette, non essendoci più né lo Zamenhof con cui aveva un contratto esclusivo, né Bourlet che garantiva la fedeltà del pubblico esperantofono, né de Beaufront che aveva abbandonato l'esperanto per passare all'Ido, non trova più conveniente impegnarsi nelle pubblicazioni in esperanto e ne liquida la sezione. Parigi non è più quindi il centro di irradiazione della lingua internazionale nel suo aspetto letterario: vi nascerà invece una cultura di rappresentazioni cabarettistiche e una poesia satirica. Non si può ritornare a Varsavia, che peraltro ha molto sofferto per la guerra: Zamenhof non c'è più, Kabe si è estraniato, Grabowski è stanco e soffre di angina pectoris: è rimasto solo durante la guerra perché allo scoppio del conflitto era all'estero e non ha potuto tornare subito in patria, e nel frattempo la

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Fratello del già citato Stefano La Colla. 25

famiglia si era spostata in Russia sotto la pressione delle vittoriose armate tedesche78. L'ambiente ebraico polacco, che è stata la culla dell'esperanto, aveva reso congeniale ai primi utenti della lingua anche un certo gusto estetico, che però ormai risulta sorpassato. C'è bisogno di aria nuova. Appare in Gran Bretagna una rivista trimestrale, 28 numeri dal 1919 al 1925, dal titolo Literaturo, ma piuttosto modesta e fortemente inglese (nulla che riguardi la letteratura italiana). Una vera aria nuova si respira invece a Budapest. Nello smembramento dell'impero austriaco l'Ungheria ha riacquistato la sua autonomia dal mondo tedesco di cui era diventata subalterna anche culturalmente; d'altra parte l'ungherese è molto lontano dalle lingue di grande comunicazione, e quindi in Ungheria una lingua internazionale facile ed espressiva trova adepti ed entusiasmo. In particolare c'è entusiasmo e gusto per la traduzione: tutti i più grandi letterati ungheresi hanno costruito il loro stile tramite un lungo allenamento in impegnativi lavori di traduzione da altre lingue, e le traduzioni in esperanto assolveranno quella funzione di tirocinio anche per chi diventerà poi un poeta originale. A Budapest dunque nasce la rivista letteraria che il mondo esperantofono attendeva. Literatura Mondo (Mondo Letterario) è un periodico mensile di grande formato79, che tratta di cultura generale, una cultura che non è necessariamente attinente all'esperanto, ma che passa attraverso la lingua internazionale. Fondata nel 1922 da Teodor Schwartz e redatta da Kálmán Kalocsay e Julio Baghy, sospende le pubblicazioni nel 1926, ha una seconda fioritura dal 1931 al 1938 e riprende dopo la guerra nel 1947 per chiudere definitivamente nel 1949, quando la "cortina di ferro" rende difficili i contatti e, specificamente, abbonamenti e pagamenti da un lato all'altro dell'Europa. Il centro redazionale rimane in tutti e tre i periodi a Budapest e lì vivono i principali redattori e collaboratori (K. Kalocsay, J. Baghy, L. Tárkony, F. Szilágyi); tuttavia molti altri collaboratori sono sparsi in tutta Europa, in particolare Polonia, Russia e Francia. Alcuni di questi, dopo la chiusura della rivista nel 1949, diventeranno redattori di riviste letterarie a loro volta. Literatura Mondo si interessa di libri e studi che compaiono nel mondo, pubblica in esperanto opere originali e traduzioni di poesia e prosa, anche di interi romanzi. Ha una rubrica, Observo (Osservazione80), che spazia da semplici annunci di libri appena usciti a recensioni di rappresentazioni teatrali o di film, a brevi saggi su questo o quell'autore venuto alla ribalta in occasione dell'uscita di un libro o dell'assegnazione di un premio, o per la celebrazione di un anniversario. Così nel 1933 sono ricordati i quaranta anni dalla morte di Maupassant, avvenuta in un ospedale psichiatrico nel 1893, il centenario della nascita di Alfred Nobel81, la morte di Arnoŝt Dvorak, i 75 anni di Selma Lagerlöf, il centenario dell'epopea finnica Kalevala, il millenario del persiano Firdusi. Nel numero di aprile 1934 viene ricordato che 300 anni prima era morta a Firenze nel convento di San Matteo, all'età di soli 33 anni, Suor Maria Celeste, figlia di Galileo, e nel numero di novembre si ricorda il centesimo anniversario del ritrovamento all'università di Oxford del più antico documento della Chanson de Roland. Nel 1935 è ricordato il 125° anniversario della nascita di Schumann. 78

Secondo la testimonianza del figlio, Grabowski morirà di infarto a Varsavia nel 1921 davanti alla vetrina di una libreria dove erano esposti libri in esperanto. 79 21,5x30,5. 80 In italiano una rubrica così si chiamerebbe Osservatorio. 81 Stranamente, di Alfred Nobel viene soltanto raramente ricordata l'attività letteraria, forse perché non di alto livello. Fu autore di poesie in inglese sullo stile di Shelley, di cui era appassionato. A 29 anni scrisse un romanzo in svedese, Le sorelle, che fu accolto dalla critica molto freddamente. Ritornò alla letteratura soltanto trent'anni dopo, nel 1895, con il dramma teatrale Nemesi scritto in svedese, ispirato alla tragedia di Beatrice Cenci; di quest'opera, a lungo dimenticata, è uscita un'edizione bilingue, svedese ed esperanto, nel 2003 (tr. Gunnar Gällmo, Stoccolma, Eld. Soc. Esperanto). 26

Observo è una rubrica attualissima, vengono commentati libri a poche settimane dalla loro uscita, da Matrimonio e morale di Russel a La gatta di Colette, da Giuseppe di Thomas Mann a Addio alle armi di Hemingway. I premi Nobel per la letteratura sono sempre annunciati e commentati, come pure altri eventi sociali di una certa importanza, come la fine del proibizionismo negli USA o il ruolo delle donne nella vita politica, o l'impegno degli intellettuali in Polonia. Compaiono varie menzioni di avvenimenti tra il politico e il culturale, ad esempio le cosiddette "conferenze di pace" di Ginevra, Parigi, Berlino e Londra, dove invece si affilano le armi per nuovi conflitti. È commentata con cenni negativi l'attribuzione di un discusso premio Goncourt. Sempre nella rubrica Observo, anche solo volendosi limitare alle notizie su quanto accade in Italia in quegli anni, c'è spazio per qualche curiosità, come la scoperta che nella barba del Mosè di Michelangelo si possono vedere i ritratti di Giulio II e l'autoritratto dell'autore. Ovviamente quello che succede in Italia nel campo letterario è guardato con attenzione ben maggiore: dello psichiatra Luigi Luigiato viene analizzata l'opera I personaggi della "Divina Commedia" visti da un alienista, ultimo dei suoi cinque volumi sui nevrotici e delinquenti nelle opere degli scrittori, e in quella pur breve presentazione viene ricordata la sua analisi dei personaggi di Manzoni e d'Annunzio. Oppure vengono riassunte le opere di Pitigrilli man mano che escono e ne viene condiviso il successo. Nel presentare Lilith di Salvator Gotta si cita che la tiratura è di oltre 60.000 copie in un paese dove i lettori di romanzi sono una minoranza. Nel numero di dicembre 1934 è commentata, con qualche perplessità, l'attribuzione in quell'anno del premio Nobel a Pirandello82 con una breve notizia che riporta in riassunto la trama de Il fu Mattia Pascal (peraltro uscito trent'anni prima; il titolo è tradotto come "Le due vite di Mattia Pascal"). Dopo alcuni anni la rivista diventa anche una casa editrice, che lancia abbonamenti e sottoscrizioni, che garantiscono l'uscita sistematica di libri prenotati in anticipo (il sistema del Club del libro è, come si vede, assai antecedente agli anni '50, quando si affermò in Italia). La rivista ha due modelli: uno è il periodico ungherese Nyugat (Occidente) di cui è anima Mihály Babits, poeta e romanziere, traduttore in ungherese di classici antichi e moderni, tra i quali la Divina Commedia; l'altro modello è prettamente esperantista: La Revuo, della quale Literatura Mondo ripete la struttura. Babits è in un certo senso il modello di Kalocsay: ha otto anni più di lui, e quello che Babits traduce in ungherese da altre lingue, Kalocsay lo traduce in esperanto. Kalocsay, come Babits, conosce varie lingue europee e come Babits è attratto dalla letteratura italiana, da cui farà varie traduzioni. Nyugat è in polemica con i tradizionalisti, e del pari Literatura Mondo sarà in polemica con il tradizionalismo esperantista, legato alla propaganda e alla diffusione della lingua e quindi bisognoso di una lingua facile. Kalocsay e il gruppo legato alla rivista hanno meno attenzione per questo aspetto: usano la lingua come una qualsiasi altra per esprimersi letterariamente; i principianti che non fossero all'altezza della lingua letteraria possono trovare, come per tutte le altre lingue, molte altre riviste di minore impegno. Literatura Mondo dunque annuncia, recensisce, reclamizza. La prima comparsa di una traduzione dall'italiano è già nel 1922, un sonetto di Raffaello Sanzio. Successivamente è

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Di Pirandello in esperanto non è uscito niente a stampa, nonostante vi siano vari manoscritti giacenti. Fu rappresentato più volte, a partire dal 1968, il dramma L'uomo dal fiore in bocca (tr. del croato S. Flego), a cura del Teatro Artistico Internazionale, una compagnia che ha portato sulle scene molte opere teatrali in esperanto. 27

reclamizzata l'uscita, presso l'editore Paolet, di Historio de Kristo (Storia di Cristo) di Giovanni Papini (1931, tr. Ettore Fasce83). Nella post-fazione del traduttore si legge: Avendomi l'Autore domandato casualmente se pensavo che la sua Storia di Cristo fosse traducibile in esperanto - per essere utile anche ad una sola anima, egli si dichiarò pronto a permetterne la traduzione completamente gratis - ho avuto un momento di imbarazzo non comune. La proposta tuttavia mi attirava. Ancor più la sentivo attraente perché da molto tempo conoscevo ed apprezzavo il famoso capolavoro.

Abbiamo qui un secondo autore, dopo De Amicis, che richiede espressamente la traduzione di una sua opera in esperanto. Papini, dopo una vita assolutamente dissacratoria, ispirata ad un individualismo anarchico e idealista, si era convertito alla religione cattolica nel 1921 ed aveva scritto una Storia di Cristo, opera che fu largamente pubblicizzata negli ambienti religiosi come necessario sbocco finale di una vita intellettuale vissuta fuori dagli schemi. Questa conversione fu poi gradita al regime fascista tendente alla Conciliazione, e il fascismo fece del Papini una specie di scrittore ufficiale, affidandogli una cattedra di letteratura italiana e nominandolo accademico d'Italia. All'esperanto Papini si era avvicinato con interesse, ed aveva conosciuto Ettore Fasce, uomo profondamente cattolico, che sarà il suo traduttore. La casa editrice collegata alla rivista, e che si chiama anch'essa Literatura Mondo, pubblica nel 1931 una antologia di poesie, Eterna Bukedo (Mazzolino eterno), composta dal Kalocsay. L'autore prende come modello le antologie precedenti, in particolare El Parnaso de la popoloj di Grabowski di quasi vent'anni prima. E anche lo scopo è lo stesso: mostrare come in esperanto si possa tradurre da qualsiasi letteratura, e come la lingua internazionale adempia il suo compito di far conoscere tutte le letterature. Si tratta dunque di traduzioni di 115 autori e da 22 lingue; la cronologia è per autori, e all'interno di questa vi è un ordinamento per lingue. Ci sono poesie dall'egiziano antico del Faraone Ahn-Aton, dal greco, dal latino, da classici orientali fino agli ultimi autori anteguerra. La letteratura italiana è rappresentata da quattordici poesie: si tratta quindi della più grande antologia di opere italiane in esperanto fino allora comparsa. Kalocsay è un traduttore molto fedele, ma è anche un poeta egli stesso, per cui in alcuni punti le poesie sono, piuttosto che tradotte, ri-create. Nel Cantico delle Creature di San Francesco (il cui titolo in esperanto è Kantiko de la suno, Cantico del sole), ad esempio, vi sono rime effettive mentre il testo italiano portava delle semplici assonanze. Il V canto dell'Inferno è tradotto in terzine in maniera magistrale. Seguono poi il già pubblicato Sonetto di Raffaello, quattro liriche del Leopardi, L'infinito, Il sabato del villaggio, Il passero solitario, A se stesso, cinque di Carducci, tra le quali Il bove, e due di Stecchetti. L'arrivo del Kalocsay sulla scena delle traduzioni dall'italiano è di grande importanza. Si tratta di un vero poeta che traduce poesia, i traduttori precedenti rischiano di apparire al confronto semplicemente dei volonterosi dilettanti. Kálmán Kalocsay (1891 - 1976) è la più grande figura della cultura esperanto: medico, primario di ospedale, docente universitario, buon conoscitore di varie lingue europee84. La poesia gli è assolutamente congeniale, così come gli è congeniale la traduzione: giostra con la lingua, crea un neologismo quando lo ritiene opportuno, forma, plasma, crea la lingua letteraria, non è succube delle categorie rigide. La sua presenza da protagonista nella redazione di Literatura Mondo crea dei contrasti con i tradizionalisti. Inoltre è severo con gli altri come con se stesso: spesso corregge i versi che gli autori gli mandano per la rivista, e quasi sempre una successiva edizione di una sua poesia ha 83

Il nome del traduttore è indicato soltanto con un asterisco, come per altre traduzioni del Fasce. Una ricostruzione della sua genealogia lo dà per 9/16 ungherese, 4/16 tedesco, 2/16 slovacco e 1/16 polacco. Vd. A. Csziszar, La genealogia arbo de Kalocsay (L'albero genealogico di Kalocsay), "Literatura Foiro", 58, 1979, pp. 12-13. 84

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ricevuto qualche ritocco migliorativo. Alcuni critici gli attribuiscono, riguardo all'esperanto, la funzione che ebbe Dante sulla lingua italiana; certamente dette dignità poetica alla lingua internazionale, ma per la sua capacità di creare parole potrebbe essere avvicinato a D'Annunzio. Attorno a lui e a Julio Baghy si crea una scuola che comprende non soltanto ungheresi, e che verrà chiamata, nella storia della letteratura esperanto, "scuola di Budapest". Su Literatura Mondo appaiono anche traduzioni dalla letteratura italiana. Un collaboratore costante è Alessandro Mazzolini (1857-1934), insegnante di disegno a Fano, autore di grammatiche e vocabolari anche specialistici (specificamente uno di geometria), e anche di un sistema di stenografia. Il Mazzolini pubblica anche su La ondo de Daugava ("L'onda della Daugava", che è il nome lettone del fiume Dvina) una lirica di Leopardi, Alla luna, e dei versi di Felice Cavallotti; la poesia italiana arriva così su lidi anche remoti. Fu anche poeta originale in esperanto, e due sue poesie appariranno nella Esperanta Antologio85. Con marzo 1933 inizia una pubblicità che dura per alcuni numeri della traduzione di Un curioso accidente, di Goldoni, fatta da Mevo86 e che, come abbiamo visto, era apparsa a puntate sulla rivista italiana. Nel 1933 compare sistematicamente in quarta pagina di copertina la pubblicità della prossima uscita della traduzione dell'Inferno di Dante in terza rima, opera allora, e non solo allora, ritenuta tra le migliori versioni di Dante in altre lingue87. La traduzione è di Kalocsay, quasi monopolista della traduzione di grandi opere; la revisione è di Bruno Migliorini e Stefano La Colla. La traduzione dell'Inferno in terza rima era certamente allora, e forse lo è ancora adesso, l'opera più impegnativa mai effettuata dall'italiano in esperanto. Come abbiamo visto, c'erano stati dei tentativi di traduzione di alcuni canti in terza rima, non ultimo quello di Eugen Wüster che tradusse il I canto88. Abbiamo visto che i primi canti nella traduzione del Kalocsay, quasi una prova, erano apparsi sulla Rivista Italiana di Esperanto, ed avevano stimolato alcuni consigli di Mazzolini. L'uscita dell'intera cantica fu un grande avvenimento letterario: l'esperanto aveva mostrato la sua flessibilità in sommo grado, se pur ce ne fosse stato bisogno, e con quell'opera mostrò ciò che potea la lingua nostra. Kalocsay, che pure aveva tradotto dall'ungherese La tragedia dell'uomo di Imre Madách, un grande poema in quindici quadri che tracciava la storia dell'umanità, raggiunge con la traduzione dell'Inferno il culmine della sua fama, e Dante trova un altro canale per essere conosciuto direttamente e non solo di nome89. Per l'italiano c'è dunque un grande interesse da parte dell'ambiente attorno a Literatura Mondo. Nel numero di ottobre 1933 compare Epitaffio, di Ada Negri (tr. B. Migliorini). Ancora nel 1933 compare anche la pubblicità di una grammatica di esperanto in latino, fatta

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Redatta da W. Auld, 1a ed. 1958, 2 a ed. 1984, è un'antologia di sola poesia originale; la seconda edizione raccoglie, in quasi 900 pagine, 163 poeti, dei quali nove italiani. 86 Come già visto, è uno pseudonimo di Rinaldo Orengo (1895 - 1991), che si firmò anche "Ro" e "Oro". 87 Come abbiamo visto, parecchi autori avevano tradotto alcuni canti di Dante e una traduzione completa in endecasillabi sciolti era stata fatta da Giovanni Peterlongo. Nel 2000 è uscita in Brasile la traduzione in terzine del Purgatorio fatta da Enrico Dondi (ed. Fonto, con testo a fronte e le classiche illustrazioni del Dorè), che sta ora (gennaio 2006) completando il Paradiso, la cui uscita è prevista per l'estate 2006. Dondi è anche il traduttore dell'intera Vita Nova (ed. Fonto, 2003, con testo a fronte). 88 Eugen Wüster (1898 - 1977), ingegnere elettrotecnico, profondo studioso di esperantologia (questo termine si deve a lui), vocabolarista, membro di commissioni per la scelta della terminologia tecnica internazionale. Il suo dizionario dall'esperanto al tedesco, la cui pubblicazione si è arrestata al 4° volume (circa un terzo dell'opera), è la più grossa opera di lessicologia esperanto. Tradusse molte opere dal tedesco, letterarie e tecniche; la sua traduzione da Dante è apparsa nel 1918 su Germana Esperantisto. 89 Una seconda edizione dell'Inferno, arricchita di un saggio di Gaston Waringhien, apparirà nel 1979 nelle edizioni di un'altra rivista letteraria, Literatura Foiro. 29

da un sacerdote italiano, Giacomo Bianchini90: Jacobus Bianchini, Cursus completus Esperanti, tironum usui accomodatus, comparationibus cum potioribus linguis Europae, Asiae et Africae singulis XXXVI lectionibus additis, linguarum monogenesim comprobantibus, cum glossario esperanto-latino. Nel 1934 compare Notte d'inverno di Carducci (tr. L. Bruno91) e con il numero di dicembre 1934 appare sulla terza di copertina una pubblicità delle opere di Mussolini. L'occasione è l'uscita, edita da Literatura Mondo come casa editrice, della traduzione di Vita di Arnaldo, effettuata ancora dal Kalocsay. Si legge nella pubblicità: L'opera è uscita per l'iniziativa di U. V. Pacini con l'impegno finanziario del sig. Gino Catarzi92 e con il cortese permesso dell'editrice italiana. Prefazione di Gino Catarzi. L'opera ci presenta il fratello del Duce, uno dei modesti, e tuttavia assai attivi, partecipanti alla rivoluzione fascista in posizione di guida.

Arnaldo Mussolini era morto nel 1931, era stato redattore del Popolo d'Italia dal 1922 fino alla morte ed aveva avuto una certa influenza sul Duce, in particolar modo per quanto riguardava i Patti Lateranensi. Accanto alla pubblicità di questa traduzione appare anche la pubblicità della lista delle opere italiane del Duce fino al 1933, edite da Hoepli, previste in 8 volumi, e anche delle opere dello stesso Arnaldo. La pagina pubblicitaria, probabilmente pagata dalla Hoepli, viene ripetuta anche nel numero di gennaio 1935. In quello stesso numero esce una breve recensione di una biografia di d'Annunzio scritta da Traversi. Nel numero di aprile compare un breve saggio su Papini, in occasione dell'uscita di Pietra infernale, con riferimenti anche ad altre opere polemiche dello stesso autore, come Il crepuscolo dei filosofi e Stroncature. Il saggio non è firmato, probabilmente è da attribuirsi al Kalocsay. Alcuni numeri di Literatura Mondo furono dedicati a culture di un singolo paese. Quello del luglio 1934 fu dedicato alla Svezia, quello dell'ottobre alla Lettonia, paese indipendente solo dalla fine della guerra, e del cui patrimonio letterario e culturale nel resto del mondo ben poco si sapeva (e ben poco si sa tuttora, nonostante faccia parte dell'Unione Europea). Il numero di luglio 1935 è totalmente dedicato alla letteratura italiana e ha, analogamente ai precedenti, la soprascritta, in seconda di copertina, itala numero, "numero italiano". È annunciato: "Questo numero italiano è redatto dai testi già pronti per la «Antologia italiana», su iniziativa e impegno finanziario del sig. Gino Catarzi di Alessandria. La redazione di Literatura Mondo

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Per il 50° della scomparsa di Don Bianchini (1875 - 1954) sono state organizzate delle manifestazioni culminate il 18 giugno 2005 in un convegno a Cimpello, paese dove ha esercitato la sua apprezzata opera di parroco per decenni; in quella occasione è stato pubblicato un quaderno dove è particolarmente evidenziata la sua attività nel campo esperantista (G. Strasiotto, G. Martinez, Don Giacomo Bianchini e l'Esperanto, Litostil, s.d.). Fu membro del Comitato Linguistico per vari anni. 91 Questo nome sembra italiano, ma non vi era nessun italiano con questo nome tra gli esperantisti dell'epoca. Esso è molto probabilmente lo pseudonimo del poeta polacco Stanislaw Braun (che usò principalmente lo ps. Wiktor Elski, ma anche Brunul', "il bruno"). Infatti sotto questo nome si trova la stessa traduzione nei fogli di Kalocsay relativi ad un progetto di una antologia multilingue; tale antologia uscirà postuma con il titolo Tutmonda sonoro (Sonorità da tutto il mondo), ma non conterrà quella poesia (la congettura è di Ada Csziszar, curatrice della carte postume di Kalocsay). Gli pseudonimi erano assai frequenti per non mostrare che i collaboratori erano sempre gli stessi; Kalocsay ne usò una decina. 92 Sottufficiale dell'esercito italiano, appassionato di letteratura e di critica letteraria, finanziò varie pubblicazioni, in particolare la traduzione dell'Inferno di Dante. 30

dedica questo numero al Generale Marchese C. Cordero di Montezemolo93, il protettore del movimento esperantista in Italia e presidente della FEI94." Da questa pagina si deduce che ci fosse già in preparazione, anzi, che fosse già quasi pronta, un'antologia della letteratura italiana in versione esperanto. 2.3 Le antologie e il "numero italiano" Le "antologie" nazionali sono state una notevole iniziativa culturale del mondo esperantofono, e le antologie poetiche, come La Liro de la Esperantistoj e El Parnaso de la popoloj, ne erano stati i prodromi. Il loro scopo era far conoscere tramite brani rappresentativi le letterature dei vari paesi, in particolar modo di quelli con lingue "piccole", cioè scarsamente conosciute a livello internazionale. Sotto questo punto di vista erano molto importanti per la promozione della cultura esperanto vista come sintesi delle diverse culture nazionali, e anche dal punto di vista della propaganda: venivano evidenziate le possibilità che l'esperanto offre, sia ai suoi cultori per il loro piacere e arricchimento intellettuale, sia a tutti i paesi per la diffusione dei loro patrimoni culturali. La prima antologia fu quella polacca (1906), curata da Kabe, poche decine di pagine, ancora un embrione di quello che sarebbero state le successive. Nel 1925 uscì quella catalana, (red. J. Grau Casas), quindi la bulgara (1925, red. I. Krestanov), la belga (1928, in due volumi: parte francese, red. M. Jaumotte, e parte fiamminga, redatta da un gruppo), la estone (1932, red. Hilda Dresen), la ungherese (1933, red. K. Kalocsay). Quest'ultima fu la prima edita dall'Associazione degli Esperantisti Amici del Libro, fondata dalla casa editrice Literatura Mondo, che si proponeva di pubblicare un'antologia nazionale all'anno. Nel 1933 erano annunciate in preparazione quella svedese (che uscirà nel 1934), quella cecoslovacca (che uscirà nel 1935, red. O. Ginz e St. Kamarýt) e, appunto, quella italiana, che invece uscirà solo mezzo secolo più tardi, in situazione editoriale totalmente diversa. Il numero di Literatura Mondo del luglio 1935 appariva dunque come un estratto, anzi per meglio dire un assaggio, di un'antologia italiana. La data non era scelta a caso. In agosto il congresso mondiale di esperanto (detto in lingua Universala Kongreso) avrebbe avuto luogo a Roma, con precongresso a Firenze, conclusione a Napoli e crociera in Libia. La scelta dei brani da pubblicare fu opera della redazione ungherese, nella quale il Kalocsay era assolutamente la figura di maggior spicco. Il numero si apre con un lungo brano di Virgilio Brocchi, Il matrimonio di Zubi (tr. M. Arabeno95); seguono tre sonetti di d'Annunzio e tre poesie di Pascoli (X agosto, Il ritorno delle bestie, Valentino, tr. Kalocsay), La quiete dopo la tempesta del Leopardi (tr. Kalocsay), un racconto di Marino Moretti, Il porcellino di gomma (tr. G. Saggiori96), un brano di M. Bontempelli, Serata unica (tr. C. Paderno) e il ben noto racconto Ricordo di mio Padre dalle Veglie di Neri del Fucini (tr. G. Facchinotti). 93

Carlo Cordero di Montezemolo (1858 - 1943), generale della riserva, proprietario terriero. Introdusse per primo l'aratura e la trebbiatura elettrica. Fu presidente della Federazione Esperantista Italiana dal 1925 fino alla seconda guerra. 94 Abbiamo già visto che l'elezione del Marchese di Montezemolo a presidente della FEI era stata fatta per proteggere il movimento da eventuali pressioni del governo di allora. 95 Michele Arabeno (1872 - 1936), personaggio assai popolare tra gli esperantisti dell'epoca, in quanto partecipante a tutti i congressi annuali, veniva chiamato onklo Miĉjo (zio Michelino). Tradusse numerose opere; in particolare, come abbiamo visto, I doveri dell'uomo di Mazzini. 96 Giovanni Saggiori (1892 - 1984) visse quasi sempre a Padova. Ufficiale del Genio, proprietario terriero, radiotecnico per passione, tradusse in italiano dall'originale in esperanto un'opera di divulgazione tecnica, Ora so cos'è la radio, dell'ingegnere russo E. Ajsberg. A Padova fu una personalità locale, esperto di storia e toponomastica padovana (scrisse Padova nella storia delle sue strade, Piazzon, 1972). Fu presidente del Gruppo Esperantista Padovano (che adesso porta il suo nome) dal 1920 al 1984. 31

La rubrica Observo parla di Boccaccio e poi ha "Momenti con Pirandello". Tutti gli articoli e note di Observo di questo numero sono firmati con la sigla V., uno dei tanti pseudonimi di Kalocsay97, e quindi a lui sono da attribuirsi giudizi e commenti. Sullo scrittore siciliano è espresso un commento piuttosto severo: se ne riconosce l'importanza innovativa, ma se ne sminuisce l'originalità, giudicandolo allievo di Ibsen, dell'austriaco Schnitzler e del tedesco Wedekind, e Kalocsay dice che, se questi due ultimi fossero più conosciuti, il loro influsso su Pirandello sarebbe evidente a tutti. Di Pirandello stesso vengono raccontati due episodi: uno in cui egli si vanta di essere fascista "perché il fascismo crea", e un altro in cui si accompagna a una ragazza "sotto i venticinque"; il Kalocsay ironizza che la ragazza "non è diciottenne, come ha la fortuna di avere il suo collega d'Annunzio. Evidentemente l'onnipotente amore non conosce età." Segue, sempre su Observo, una nota sulla poesia italiana di quegli anni con accenni alle opere di Giuseppe Villaroel, Maria Borgese, Lionello Fiumi e Aldo Capasso (ma sorprende che non sia mai citato Ungaretti, che pure aveva pubblicato proprio nel 1933 Sentimento del tempo). Una nota più lunga è dedicata a Palazzeschi, con la traduzione di un brano in cui l'autore racconta di sé stesso e della propria poesia: ha appena pubblicato Le sorelle Materassi, ma le sue preferenze restano ancora per il volume Poesie e per Il codice di Perelà. Chiude il "numero italiano" una nota sul rafforzamento dell'amicizia italo-francese: è stata inaugurata una grande esposizione dell'arte italiana al Louvre, il direttore di Les Nouvelles Littéraires ha intervistato Mussolini; reciprocamente, è stato inaugurato in presenza del Duce un busto di Chateaubriand a Roma, ed è stato eretto un busto di Stendhal nell'atrio della Scala a Milano. Già dal 1914 un gruppo di amici di Stendhal aveva avuto l'iniziativa di erigere una statua commemorativa nella città di cui lo scrittore era appassionato, ma era intervenuta la guerra, e la cosa era stata rimandata. Il fascicolo della rivista ha anche la riproduzione di alcuni capolavori italiani: la Scuola d'Atene di Raffaello, l'Annunciazione e il San Giorgio di Donatello, la Creazione dell'uomo dalla porta del Battistero fiorentino del Ghiberti, l'Estasi di Santa Teresa del Bernini, il profeta Geremia della Cappella Sistina. Un epilogo riferentesi ancora all'Italia si ha nel numero successivo: un'intervista di Ferenc Szilágy98 a Julio Baghy99 e un racconto in versi di Gaston Waringhien100 ci dicono che il congresso, tenutosi a Roma e oramai conclusosi, non ha soddisfatto tutti. È stato principalmente un evento turistico, poco culturale, fatto più per mostrare le realizzazioni del regime che per far passare una settimana in un'atmosfera di amicizia. "L'alto assenso del Duce", la presenza del vice-sindaco a Firenze, l'inaugurazione all'Augusteo e il ricevimento a Villa Celimontana a Roma, la gita sui cammelli all'oasi libica di Suk el Ĝami sono stati momenti di rappresentanza più che di cultura. La colpa tuttavia non viene attribuita al comitato organizzatore, che si è trovato stretto tra uno statuto dell'Associazione che impediva 97

Il secondo nome, dopo Kálmán, era Vince, da cui la sigla V. Ferenc Szilágyi (1895-1967), ungherese, a lungo nel comitato editoriale di Literatura Mondo, dopo la guerra si trasferì in Svezia, dove fondò e diresse un'altra rivista letteraria, Norda Prismo (Prisma Nordico), che uscì dal 1955 al 1974. 99 Gyula (in seguito: Julio) Baghy (1891-1967), ungherese. Attore, poeta, novelliere, romanziere, insegnante fu estremamente popolare nel mondo esperantofono, e le sue opere vedono tuttora continue edizioni. 100 Gaston Waringhien (1901-1991), francese, professore di inglese e di linguistica, il più profondo studioso dell'esperanto dal punto di vista grammaticale e storico. Autore di numerosissimi saggi, studi e traduzioni da varie lingue, fu anche il maggiore vocabolarista: collaboratore al Plena Vortaro (Vocabolario completo, Sennacieca Asocio Tutmonda, Parigi, 1930, 2a ed. 1934), fu caporedattore delle varie edizioni del Plena Ilustrita Vortaro (Vocabolario illustrato completo, Sennacieca Asocio Tutmonda, Parigi, 1970, 1976, 1981, 1987). Fondatore e caporedattore di La nica literatura revuo (La rivista letteraria nizzarda), che uscì dal 1955 al 1962. Anche delicato poeta, la maggior parte della sua produzione in versi è uscita sotto lo pseudonimo G. E. Maura. 98

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una partecipazione più vasta e una crisi economica non ancora superata, oltre che in una situazione di politica internazionale di estrema tensione. L'Italia in quei giorni stava preparando la guerra d'Africa, e ciò causò anche difficoltà per i trasporti: la nave che doveva effettuare la crociera in Libia era stata requisita a fini bellici e solo con difficoltà ne fu trovata un'altra. La presenza italiana su Literatura Mondo è ancora intensa nei due anni successivi, quasi a compensare il suo parallelo affievolirsi sulla rivista italiana. Nella pubblicità del Cuore in esperanto si segnala che ne sono state vendute 1.822.000 copie in italiano, e che è stato tradotto in quasi cento lingue; nel 1935 appare un brano di S. Di Giacomo, L'amico Richter (tr. M. Arabeno). Nel 1936 compaiono traduzioni da Michelangelo, Lorenzo de' Medici (Il trionfo di Bacco e Arianna, tr. Kalocsay), parecchie cose di D'Annunzio (tr. Kalocsay e Lali Blond, pseudonimo di Lajos Tárkony), Gaspara Stampa, Vittoria Colonna (tradotte entrambe da una donna, Juliette Vatré-Baudin). Una serie di traduzioni lasciate da Alessandro Mazzolini, morto nel 1934, compare nel 1937: sono poesie di Aleardi, Stecchetti, Fusinato, Bertacchi, Giusti. E ancora: sonetti del Petrarca, poesie di Graf e Pastonchi (tr. Kalocsay e Lali Blond). Un lungo saggio su Pirandello porta la firma F. W. V.101; segue una lunga recensione sul libro di memorie scritto da Titta Ruffo, che evidenzia i suoi legami con Caruso, e poi un articolo sulla musicalità dell'italiano. La cultura del nostro paese è quindi abbastanza ben rappresentata, anche se è d'obbligo un rammarico: a parte Mazzolini, i traduttori dall'italiano sono tutti stranieri: Kalocsay e Lali Blond traducono indifferentemente dall'ungherese, dall'inglese, dal francese, dal tedesco e dall'italiano, mostrando una padronanza linguistica e artistica da cui gli italiani sono lontani. Una curiosità sulla cultura mondiale in generale: viene riportata una statistica secondo la quale nel 1935 il paese che ha prodotto più libri è stata l'Unione Sovietica con 42.698 titoli, seguita dal Giappone, che ha raddoppiato la produzione dell'anno precedente, terza la Germania, quarta l'Inghilterra e quinta l'Italia (10.484), che supera di pochissimo la Francia. Segue la Cecoslovacchia, e solo ottavi sono gli Stati Uniti. 2.4 L'inizio della catastrofe La situazione internazionale comincia a deteriorarsi, e le tensioni si fanno sempre più forti. In Italia il fascismo comincia a pesare; non c'è una persecuzione, ma l'educazione alla comprensione tra i popoli, naturalmente insita nell'idea di una lingua internazionale, non è rispondente alla politica del regime. Le trasmissioni di Radio Roma in esperanto, iniziate il 22 marzo 1935 in occasione del congresso di Roma, continuano con notizie turistiche una volta alla settimana, e una seconda trasmissione settimanale è invece dedicata ad un resoconto politico ispirato da una visione allineata alla politica del governo. Nel 1936 il decreto Bormann costringe le associazioni esperantiste tedesche ad autosciogliersi; nei territori successivamente annessi dal Reich le associazioni esperantiste, a cominciare da quelle che sono specificamente di lavoratori, vengono rapidamente liquidate. In Italia la Federazione Esperantista Italiana agisce con molta prudenza per evitare rischi, ma ad esempio deve fare un appello agli esperantisti di tutto il mondo perché dimostrino simpatia all'Italia per la guerra vittoriosa in Etiopia. Tuttavia i congressi nazionali non possono svolgersi nel 1936 e 1937, e quello del 1939 inciampa in cavilli burocratici. Poco dopo, per 101

Si tratta probabilmente di un tedesco (ci sono sue traduzioni dal tedesco altrove), ma nemmeno gli attuali esperti delle pubblicazioni del tempo, consultati appositamente, sono riusciti a ricostruire la sua identità. 33

risparmiare carta, il bollettino di informazione della FEI deve cessare. Nel 1938, a seguito delle leggi razziali, la FEI consiglia ai suoi membri ebrei di non rinnovare la quota, onde poter dichiarare alle autorità che l'associazione non ha soci ebrei; diventa difficile lavorare pubblicamente per l'esperanto, tenere corsi o congressi. Nel 1939, ancora con il pretesto di risparmiare carta, vengono interrotte le pubblicazioni della rivista italiana Esperanto. Parallelamente, il movimento subisce un grave colpo in Russia con le purghe staliniane del 1937. Gli esperantisti sono classificati come elementi pericolosi, cosmopoliti e antisovietici102; molti vengono fucilati o condannati a lunghe pene detentive in Siberia. Le zone in Europa dove è ancora possibile pubblicare in esperanto cominciano a restringersi. Nel 1939 esce in Olanda la traduzione di Fontamara di Ignazio Silone (tr. A. Angelo e V. van Scheepen, ed. Libroservo Federacio de Laboristaj Esperantistoj, Amsterdam). Sono significative le vicende vissute da quel libro, scritto originariamente in italiano. Infatti la prima edizione in assoluto fu la versione tedesca pubblicata in Svizzera (tr. Nettie Sutro, Verlag Operchtund Helbling, Zurigo 1933), che ebbe subito una ristampa fuori commercio esclusivamente per i soci della Universum Bucherei (Basilea 1934). Nel 1934 uscì la prima edizione originale italiana dell'emigrazione (Nuove edizioni italiane, Parigi-Zurigo); la prima edizione italiana in Italia ci sarà soltanto nel 1947 (ed. Faro, Roma; successivamente ed. Mondadori, Milano). A livello personale, nel 1938 si ha una defezione importante: quella di Bruno Migliorini, vicepresidente dell'Accademia di Esperanto. L'annuario di tale Accademia ne registra semplicemente le dimissioni, senza commento. In una lettera del 1954 al figlio di Giovanni Peterlongo, che voleva pubblicare la traduzione della Divina Commedia fatta dal padre, il Migliorini spiegherà così la sua posizione: Preg. Ingegnere, ricordo bene che parecchi anni fa ho lette e apprezzate alcune pagine della traduzione del compianto Suo padre. E Le sono ora grato di aver pensato a me per rivedere il testo e apporvi una prefazione. È doveroso per me farLe presente quale è il mio atteggiamento rispetto all'Esperanto dal 1938 circa. Dopo aver partecipato attivamente al movimento per un quarto di secolo, ho dovuto constatare che esso era rimasto pressappoco allo stesso punto che 10, 20, 30 anni prima: un modesto movimento di alcune migliaia di entusiasti senza sensibile influenza sul mondo pratico. Pur rimanendo pienamente convinto che una lingua internazionale artificiale può funzionare bene e che l'Esperanto è perfettamente in grado di rispondere ai principali requisiti di una lingua ausiliaria, mi sono purtroppo anche persuaso che salvo che non intervenga qualche fatto nuovo di importanza eccezionale non c'è probabilità che le cose mutino in avvenire. Questo spiega come io mi sia interamente ritirato da ogni azione di propaganda; ma d'altra parte non ho mai voluto compiere alcun atto che potesse recar danno all'opera dei samideani, con cui ho collaborato tanti anni e fra cui conto molti buoni amici.103

Motivazioni personali si uniscono a considerazioni di tensione internazionale. Le nubi che preannunciano la guerra fanno cessare improvvisamente Literatura Mondo come rivista nel 1938, con molto materiale pronto per andare in stampa, e tra queste carte c'erano parecchi testi 102

Per le persecuzioni subite dagli esperantisti sotto i vari regimi assolutisti, in particolare quello nazista e quello stalinista, vd. U. Lins, La lingua pericolosa, TraccEdizioni, 1990. 103 Le motivazioni qui riportate del Migliorini sono le stesse che hanno mosso, nei tempi più diversi, anche altre persone ad agire allo stesso modo. Il sopravvenire di impegni più pressanti, unito alla delusione di non vedere un rapido accoglimento generalizzato di una lingua neutrale per le comunicazioni internazionali, ha in più d'uno causato il ritiro dal movimento. Altri invece hanno trovato ancora motivazioni valide per proseguire con entusiasmo e dedizione la loro opera, e tali motivazioni fanno ancora presa su adepti appartenenti alle nuove generazioni, per cui il popolo esperantofono, pur con alti e bassi dipendenti dai tempi e dai luoghi, non si è mai estinto e continua la sua produzione culturale. 34

tradotti dall'italiano. La casa editrice omonima produce ancora dei libri: di questi ci interessa la Svisa Antologio (Antologia svizzera) uscita nel 1939, in quanto quaranta pagine riguardano la letteratura della Svizzera di lingua italiana e costituiscono la "Parte ticinese" dell'opera. Sono rappresentati, nella sezione di prosa, Giuseppe Zoppi, Romeo Manzoni, Giovanni Anastasi, Angelo Nessi e Francesco Chiesa; nella sezione di poesia insieme allo Zoppi e al Chiesa è presente Valerio Abbondio. La letteratura ticinese riguarda una comunità di meno di 200.000 persone, che è attorno al 6% della popolazione svizzera, e l'importanza della produzione letteraria del Canton Ticino è solitamente, anche oggi, trascurata (anzi, spesso sottovalutata) nei testi e nelle antologie di letteratura italiana. Le tredici poesie della "Parte ticinese" sono tutte tradotte da Kalocsay che si conferma come il maggior traduttore della poesia italiana in esperanto, mentre le prose sono tutte tradotte da Arthur Baur e da R. A. Dasen, svizzeri di lingua tedesca. Particolarmente interessanti sono le Leggende ticinesi di Zoppi come le delicate poesie di Abbondio e di Chiesa. La guerra infuria dal 1939 al 1945. Il movimento esperantista, che da alcuni anni ha il suo centro associativo principale in un sobborgo di Londra, soffre dell'essere in un paese pienamente coinvolto nel conflitto; il centro di Ginevra, divenuto secondario, mantiene alcuni contatti e cerca di espletare gli stessi servizi umanitari di smistamento di pacchi e ritrovamento di persone che aveva espletato durante la prima guerra. Data la violenza e l'estensione del conflitto e la durezza dei regimi nei territori occupati, queste attività si potranno svolgere soltanto in scala molto ridotta. La paurosa carneficina travolge tutta l'intelligencija esperantista polacca: muoiono nei campi di concentramento quasi tutti i parenti di Zamenhof, muore nel ghetto di Varsavia Leo Belmont, finiscono i collaboratori polacchi di Literatura Mondo. Budapest è occupata, ma parecchi si salvano: Kalocsay, Baghy, Tárkony, Szilágyi. Muore invece Vilmos Bleier, che era l'efficientissimo coordinatore della parte economica ed editoriale. In Italia tacciono i periodici in esperanto. Continuano ancora le trasmissioni radio, e il 10 giugno 1940 viene letta ai microfoni la traduzione del discorso di Mussolini che annuncia l'entrata in guerra dell'Italia. L'attività radiofonica dura fino all'agosto 1942, ma si tratta soltanto dei bollettini di guerra e di commenti politici adeguatamente allineati. Col progredire del conflitto la situazione si aggrava e la FEI ha sempre maggiori difficoltà a mantenere i contatti con i gruppi locali. L'ufficio di Milano, in Galleria Vittorio Emanuele di fianco al Duomo, è distrutto dai bombardamenti. La solidarietà esperantista, mai venuta meno neppure negli anni più bui e superiore anche a diversità di ideologie, fa sì che vari ebrei trovino ospitalità e nascondiglio presso coraggiosi samideani. Numerosi esperantisti si troveranno sui vari fonti dove opera l'esercito italiano, e, a seconda della situazione e dei propri convincimenti, saranno poi internati in Germania o entreranno nelle file della Resistenza.

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Capitolo III DALLA RINASCITA AGLI ANNI SESSANTA 3.1 Il dopoguerra Il movimento esperantista italiano subì una divisione geografica quando il fronte fu per oltre un anno e mezzo sulla nostra Penisola, avanzando lentamente dal Sud al Nord. Negli eserciti sia dell'una che dell'altra parte militavano esperantisti, e quindi era naturale che, nei periodi di stanza nelle varie città, questi giovani lontani dalle loro case cercassero dei ritrovi ove la solidarietà esperantista superava il concetto di "nemico". A questo proposito va detto che la solidarietà tra i samideani, appunto, fu sempre superiore al fatto di militare in campi avversi. Con la fine del conflitto e il graduale ritorno alla normalità divenne nuovamente importante il problema linguistico, e gli adepti tornarono a dedicarsi alla diffusione della lingua internazionale, al suo insegnamento, alla sua cultura. La prima grammatica nell'Italia postbellica fu costituita da fogli mimeografati raccolti da una cartellina grigia104, e anche in quella grammatica molto concisa erano presenti poesie, come Pianto antico di Carducci e Orfano di Pascoli. Si confermava quindi che senza la poesia una lingua non vive, non è neppure presentabile. Il primo congresso nazionale si avrà nel 1947 a Torino: ci si conta, si vede chi c'è ancora. Riprende con fatica la vita culturale e riprendono le attività editoriali. Di esperanto c'è forte richiesta, vengono fuori altre grammatiche, escono nuovi vocabolari, e molto è ancora pubblicato dalla casa editrice Paolet. La rivista l'esperanto riprende le pubblicazioni nel 1950 come organo della Federazione Esperantista Italiana. Rispetto a venti anni prima la situazione è molto peggiorata, ma la rinascita è vissuta con entusiasmo. In campo europeo c'era stata una continuità, ancorché flebile, anche durante il conflitto. Nel 1943 era nata in Svezia Malgranda Revuo (Piccola rivista), che riesce a tenersi con grande difficoltà redazionale e finanziaria fino al 1952. Il suo scopo era di dare spazio principalmente agli autori originali, e quindi non compare quasi nessuna traduzione. Nel 1947 rinasce a Budapest, per la terza volta, Literatura Mondo, con lo stesso comitato di redazione sotto la guida di Kalocsay, a cui si aggiunge il francese Waringhien, già assiduo collaboratore nel periodo precedente. Compare nel primo numero La canzone di Legnano, ancora un'ottima traduzione del Kalocsay, e quindi, senza firma e perciò da attribuirsi sempre al Kalocsay, una recensione di un libro di Carlo Sforza, ministro degli esteri italiano, sul contributo ideologico che D'Annunzio dette al fascismo. Nel 1948 ecco una novella di Marotta (tr. Stefano La Colla) e una lunga recensione di Cristo si è fermato a Eboli. Sembrano tornati i tempi brillanti degli anni Trenta: il formato è lo stesso, del pari il numero di pagine e la struttura. Ma con il 1949 Literatura Mondo chiude definitivamente e inizia il "grande silenzio": è calata la "cortina di ferro" che divide i due accampamenti della guerra fredda. La libera circolazione della moneta è interrotta, è impossibile girare incassi e pagamenti da un lato all'altro dell'Europa; una rivista che non ha grandi capitali dietro e che vive di anno in anno su poche centinaia di abbonamenti ha i giorni contati. Si è creata la NATO, e i paesi dove i partiti comunisti sono andati al potere si trovano sulla difensiva. L'atteggiamento di Stalin nei confronti del movimento esperantista, che si era tragicamente manifestato con le grandi purghe, si estende a tutte le democrazie popolari. Si dovranno 104

Luigi Minnaja, La lingua ausiliaria internazionale Esperanto, tip. Pioda, Roma, 1945. 36

attendere alcuni anni perché si ritorni a un minimo di normalità, ma ancora per un lungo periodo in vari paesi dell'Europa orientale i giornali esperantisti dell'occidente non saranno recapitati dalla posta. Dopo la destalinizzazione la rinascita del movimento in certi paesi sarà rapida e addirittura molto favorita dal governo: le riviste Hungara Vivo (Vita ungherese), Pola Esperantisto (L'esperantista polacco), Nuntempa Bulgario (Bulgaria contemporanea), finanziate dai rispettivi stati e necessariamente allineate politicamente ai rispettivi regimi, diventeranno, in particolare la prima, delle riviste culturali con ampie rubriche letterarie. Assai più lenta e ostacolata sarà invece la rinascita in Unione Sovietica e nella Repubblica Democratica Tedesca. Tuttavia la cultura italiana non è più così popolare in Europa come nel periodo anteguerra, e Kalocsay non tradurrà quasi più dall'italiano; compariranno soltanto nuove versioni leggermente modificate di poesie pubblicate precedentemente o verranno riesumati dei vecchi manoscritti. Una strada nuova si apre in Italia. Con il 1950 iniziano nuovamente le trasmissioni in esperanto a Radio Roma. L'occasione è l'Anno Santo; ma le trasmissioni non sono più esclusivamente turistiche né, tanto meno, politiche. Il caposezione è Ascenzio Blasimme105, che già lo era stato nelle trasmissioni anteguerra, e i redattori sono Luigi Minnaja106 e Vincenzo Musella107; le scelte dei temi sono più libere e quindi, pur mantenendo il compito di informare sull'Italia e favorire il turismo, le trasmissioni possono essere maggiormente dedicate alla cultura letteraria e a informazioni sull'attività specificamente esperantista. Musella trasmette un ciclo di conferenze che commentano canto per canto la traduzione dell'Inferno di Kalocsay; Blasimme e la famiglia Minnaja mettono in scena Pinocchio: ogni ultimo martedì del mese cinque persone si alternano ai microfoni, per interpretare il narratore, Pinocchio, Geppetto, la Fatina dai capelli turchini e gli altri ruoli del racconto108, adattando per la sceneggiatura radiofonica la traduzione di Mirza Marchesi109. Entrambi i cicli ebbero un notevole successo tra gli ascoltatori: giunse anche una cartolina di saluto indirizzata a "Pinokjo, Radio Roma"110. Fu apprezzata anche la chiarezza della dizione: la sonorità della voce di Musella seppe dare a Dante una corposità nuova, e la rappresentazione a più voci di Pinocchio captò l'interesse e la simpatia di un pubblico abituato al vedere nell'esperanto uno strumento culturale per adulti. Bambini che sapessero l'esperanto erano a quel tempo molto pochi, l'acquisizione della lingua da parte della nuova generazione tramite l'uso quotidiano in famiglia era all'epoca assai rara111.

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Ascenzio Blasimme (1901 - 1971), funzionario delle ferrovie, fu detto, appunto per le sue trasmissioni da Radio Roma, "l' esperanta voĉo" (la voce in esperanto). 106 Luigi Minnaja (1899 - 1974), funzionario del Ministero del Tesoro; a lungo segretario.del Gruppo Esperantista Romano e capo delegato dell'UEA per l'Italia, traduttore e poeta. 107 Vincenzo Musella (1894 - 1973); colpito da cecità fin da bambino, divenne professore di lingue classiche e poi bibliotecario. Vinse vari premi letterari come poeta e tenne numerose conferenze nei congressi. 108 Gli attori erano Luigi Minnaja (Geppetto e altri ruoli maschili secondari), Carolina Minio-Paluello (dal 1937 sposata a Luigi Minnaja: Fatina e altri ruoli femminili), Nicola Minnaja (all'epoca tredicenne, figlio dei due coniugi: narratore), Carlo Minnaja (autore di queste pagine, all'epoca undicenne, anch'egli figlio dei coniugi: Pinocchio), Ascenzio Blasimme (mastro Ciliegia, il Grillo Parlante e altri ruoli secondari). 109 C. Collodi (tr. M. Marchesi), Pinokjo, The Esperanto Publishing Co., London, 1930. 110 Purtroppo, testi e corrispondenze relative a quelle trasmissioni sono andati perduti. La RAI non tiene traccia né scritta né registrata delle attività di quel tempo. 111 Attualmente le statistiche, approssimate certamente per difetto, parlano di circa un migliaio di famiglie costituitesi tramite matrimoni tra esperantisti e nelle quali la lingua d'uso è l'esperanto, che quindi viene appresa dai figli fin dalla nascita (tali bambini si dicono denaskaj esperantistoj). Esiste anche un bollettino di contatto tra tali famiglie, un sito ed una lista di comunicazione in rete, un congresso annuale di bambini (sotto i 14 anni) e incontri familiari di vacanza in cui si parla solo esperanto. L'autore di queste pagine è stato educato in una di tali famiglie. Vd. R. Corsetti, L'esperanto dalla nascita: tra creatività e creolizzazione, "l'esperanto", Numero speciale, 2005. 37

Nel 1952 si ha un grande avvenimento nella letteratura esperanto: debutta una casa editrice, Stafeto, che ha sede nelle Canarie, con una raccolta di quattro poeti scozzesi. Sarà una casa editrice importantissima per tre decenni e pubblicherà anche traduzioni (non dall'italiano). La sua nascita è il segno di un nuovo centro culturale: la "scuola di Budapest" egemonizzata dal Kalocsay, che tanto ha tradotto dall'italiano, adesso tace, e subentra la "scuola scozzese", il cui rappresentate principale è William Auld112. La letteratura italiana quasi non attira più traduttori stranieri e faticano a crescere nuovi traduttori validi nel nostro paese. Si ha tuttavia la comparsa di un volumetto modesto per numero di pagine ma interessante, perché indica una inversione di tendenza: esce tradotta da Giordano Azzi113 una breve raccolta di poesie del Pascoli: Poemoj. Si tratta di sedici poesie da Myricae, Primi poemetti, Odi e inni, Poemi conviviali e Canti di Castelvecchio. La scelta è rappresentativa, ci sono alcune delle poesie più popolari: X agosto, La quercia caduta, I due fanciulli, La mia sera. Le traduzioni sono di livello diverso; in alcuni punti, eccessivi compattamenti rendono difficile la comprensione, oppure il ritmo è difficilmente individuabile, altrove invece il traduttore ha egregiamente saputo adeguarsi alle onomatopee, alle rime, al senso della natura del Pascoli. 3.2 Il "Rinascimento di Montevideo" e il sorgere di nuove riviste letterarie Il movimento esperantista è sempre stato attento ai riconoscimenti che la lingua andava ottenendo da istituzioni ufficiali. Nel 1925 l'Unione Postale Universale riconosceva l'esperanto come "lingua chiara" (cioè non cifrata); via via altri riconoscimenti si sono susseguiti nei campi più diversi. Dopo la prima guerra mondiale la Società della Nazioni si pronunciò in favore dell'esperanto, pur essendoci una forte opposizione da parte della Francia, che temeva un indebolimento della propria lingua e che vietò l'insegnamento dell'esperanto nelle scuole francesi (addirittura non permise nessuna attività esperantista nei locali scolastici). Dopo la seconda guerra ci fu una petizione, firmata da 895.000 persone, tra cui 1600 linguisti e oltre 5000 professori universitari, e da 492 associazioni in rappresentanza di oltre 15 milioni di membri, che chiedeva alla Nazioni Unite di considerare il problema della lingua internazionale e la soluzione offerta dall'esperanto. Nel 1950 la petizione fu trasmessa all'Unesco (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), neonata sezione culturale dell'ONU. Il Segretariato dell'Unesco la trasmise alla Settima Sessione della Conferenza Generale, che si svolse a Parigi nel 1952; tale conferenza riconobbe l'esistenza del problema della comunicazione internazionale, ma non prese nessuna decisione riguardo alla sua soluzione, rinviando la cosa all'Ottava Sessione che si sarebbe svolta nel dicembre 1954 a Montevideo. Nei due anni di tempo le commissioni nazionali dell'Unesco fornirono al Segretariato documentazioni le più diverse: qualche stato semplicemente dichiarò di esser stato informato della petizione, qualche altro dichiarò una posizione incoraggiante, qualche altro oppose un netto rifiuto a che l'Unesco si interessasse di una questione linguistica, altri non risposero. Si riunì quindi l'Ottava Sessione; erano ormai passati quattro anni da quando la petizione era stata consegnata al Segretariato Generale, il che dà l'idea di quanto siano vischiose certe decisioni dei grandi organismi internazionali, e forse anche di quanto poco sia gradita qualsiasi decisione riguardante la lingua, perché vengono toccati interessi nazionali molto 112

William Auld (1924 - ), preside di una scuola media in Scozia è il più grande poeta in esperanto vivente. Autore di numerosi volumi di liriche originali e di traduzioni, è stato più volte candidato al premio Nobel per la letteratura. La sua opera principale, La infana raso (La razza bambina, 1956) esprime le ispirazioni pacifiste del popolo esperantofono. 113 Giordano Azzi (1910 - 2002), ingegnere elettrotecnico, direttore dell'azienda tramviaria di Milano. Ebbe cariche di responsabilità sia nella FEI che nell'UEA. 38

importanti e argomenti a cui tutti sono molto sensibili. Le burocrazie, solitamente sostenitrici dell'oligopolio di alcune grandi lingue in cui esse si muovono e delle quali hanno una padronanza gelosamente custodita (quando non addirittura del monopolio di una sola), hanno sempre cercato di intralciare o ritardare qualsiasi proposta che riguardasse lo studio o anche il solo interessamento per una lingua internazionale pianificata. Il problema fu finalmente trattato prima davanti ad una Commissione, dove, in una riunione con interventi che tendevano alla derisione più che ad una considerazione seria ("la creazione dell'esperanto è un peccato contro natura" disse il danese Blinkenberg), fu respinta una mozione favorevole all'esperanto e fu deciso di non dare nessuna risposta, nonostante si trattasse della più ampia petizione mai presentata ad un organismo internazionale sulla base di un'iniziativa privata. I giornali di Montevideo videro in questo un sopruso nei confronti delle piccole nazioni e vi fu una campagna di stampa ostile all'Unesco, di cui veniva evidenziato il costo pagato da tutti e invece il comportamento a favore delle lingue di alcune nazioni già economicamente favorite. Inoltre la petizione era sostenuta dall'Uruguay e dal suo ministro dell'Istruzione, presidente della conferenza; il fallimento era quindi visto come un insulto al paese ospitante. La settimana successiva la Seduta Plenaria invece approvò una risoluzione quasi identica a quella respinta in commissione, che riconosceva i risultati ottenuti dall'esperanto nel campo degli scambi culturali internazionali, riconosceva che tali risultati corrispondevano agli scopi e agli ideali dell'Unesco e dava mandato al Direttore Generale di seguire l'evoluzione, nei singoli Stati-Membri, dell'uso dell'esperanto nei campi scientifico, educativo e culturale. Qualche giorno prima, indipendentemente, l'Associazione Mondiale di Esperanto aveva ricevuto lo status di organizzazione consultiva dell'Unesco. La risoluzione approvata diceva in realtà assai poco: constatava semplicemente un fatto largamente notorio a chi fosse competente del problema, cioè che l'esperanto, usato da oltre sessant'anni, era un buon mezzo per lo scambio dei valori culturali. Non c'era nessun impegno per gli Stati-Membri, ma soltanto il mandato di seguire l'evoluzione dell'uso della lingua nei singoli stati, cosa che peraltro rientra nel normale compito dei comitati nazionali dell'Unesco. Tuttavia anche la sola approvazione di una cosa ovvia provocò opposizioni, e soprattutto mise in luce un netto scollamento tra quanto i comitati nazionali avevano trasmesso al Segretariato e come invece i delegati si espressero in sede di discussione e di votazione. Chi partecipò come osservatore da parte dell'Associazione Mondiale di Esperanto, il prof. Ivo Lapenna114, ebbe centinaia di contatti con i membri delle varie delegazioni riportando, generalmente, impressioni tutt'altro che positive115. In tali colloqui si inserisce il contatto con Ungaretti, membro della delegazione italiana, che il Lapenna nella sua relazione definisce "il nostro più acerrimo nemico" alla pari con il linguista Sommerfelt, il membro più influente della delegazione norvegese. Il problema era trovare una delegazione nazionale che proponesse una mozione che fosse una risposta dell'Unesco alla petizione consegnata ormai quattro anni 114

Ivo Lapenna (1909 - 1987), croato, giurista, professore di diritto internazionale all'università di Zagabria. Abbandonata la Jugoslavia per dissensi con il regime di Tito, insegnò alla Sorbona e poi diventò professore alla London School of Economics. Segretario dell'UEA dal 1955 e quindi presidente dal 1964 al 1974: organizzatore, oratore, scrittore, saggista, polemista, fu una delle più grandi figure del movimento esperantista di sempre. 115 L'intera vicenda dell'Ottava Sessione dell'Assemblea dell'Unesco fu raccontata dal Lapenna in diverse lettere alla segreteria dell'UEA, che poi furono condensate in circolari estremamente riservate, distribuite a pochissime persone, tra cui Luigi Minnaja in quanto redattore di Radio Roma. Un'ampia relazione apparve poi in I. Lapenna (red.), Esperanto en Perspektivo (L'Esperanto in prospettiva), UEA, 1974, pp. 760-792, ma parecchi dettagli furono pubblicati soltanto nel dicembre 1976 nella rivista Horizonto (Orizzonte). Tuttavia i giudizi sulla posizione di Ungaretti e sulla sua azione non comparvero neanche lì e furono pubblicati soltanto nel 2001. Vd. C. Minnaja, Konscio, racio kaj emocio: de Parizo al Montevideo (Coscienza, razionalità ed emozione: da Parigi a Montevideo), in C. Minnaja (red.), Eseoj memore al Ivo Lapenna (Saggi in memoria di Ivo Lapenna), www.kehlet.com, Danimarca, 2001. 39

prima. Le varie delegazioni nazionali si rifiutarono una dopo l'altra; quella italiana ebbe una risposta interlocutoria, in quanto vi erano pareri discordi (da quanto si poté desumere poi, Ungaretti era nettamente contrario, Veronese era fortemente favorevole). In una lettera del 5 dicembre 1954 Lapenna scrive che la gran parte dei delegati non sono competenti e non conoscono neanche quali sono i compiti e le prerogative dell'Unesco. La cosa non è sorprendente: l'Unesco era stato fondato nel 1949, e per molti stati, specie quelli ex-coloniali, anche la semplice partecipazione ad una assise mondiale era una novità a cui i delegati non erano preparati. Lapenna così continua: Per confondere del tutto questi ignoranti alcuni delegati, nostri acerrimi nemici, hanno agito in tutti i modi contro di noi. Due volte sono stati distribuiti dei prospetti sull'Interlingua116 nei quali si scrive che l'Esperanto è imperfetto e che l'Interlingua è la vera soluzione. Tra i delegati i peggiori nemici sono il prof. Nielsen, il prof. Blinkenberg (danesi), il prof. Sommerfelt, il prof. Ungaretti (italiano), Bernard Barbey e Bourgeois (svizzeri). Tre di loro sono professori di lingue e prendono in giro l'esperanto in tutti i modi, dicendo che è terribilmente imperfetto, brutto, primitivo ecc. Naturalmente io contesto le loro asserzioni, ma loro sono signori delegati e io un povero osservatore.

Le motivazioni di Ungaretti erano le solite: una lingua artificiale è brutta per antonomasia e non può esprimere valori artistici. Il rifiuto di arrendersi all'evidenza e di riconoscere che molti scrittori avevano già creato valori artistici era una posizione simile a quella di Gramsci, nonostante il grande divario ideologico tra le due personalità. Nelle votazioni Ungaretti non era presente (si votava per nazione, per cui bastava che fosse presente un delegato per ogni paese), e nella prima votazione in Commissione, che rifiutò di occuparsi del problema linguistico, l'Italia si astenne. Nel plenum della settimana successiva la mozione fu approvata con 30 favorevoli, 5 contrari e 17 astenuti; alcuni paesi non votarono. Poiché si votava per alzata di mano e ci furono pochissime dichiarazioni di voto, non è rimasta traccia di come hanno votato i singoli delegati, e il loro voto è ricostruibile solo in base a quali mani alzate poté vedere al momento l'osservatore dell'UEA; una prima relazione sui risultati di quel pomeriggio non dava notizie sul voto dell'Italia, una relazione successiva, probabilmente più documentata, riferiva che l'Italia aveva votato a favore. Che il voto di uno stato fosse il risultato di una posizione concordata all'interno della delegazione è tuttavia dubbio: in altre votazioni il voto di un paese cambiava a seconda di quale rappresentante era in quel momento presente. Forse Ungaretti non c'era, o forse la sua posizione era risultata minoritaria in una discussione all'interno della delegazione italiana, se pur tale discussione ci fosse stata. In seguito a quell'episodio Ungaretti fu contattato successivamente, dopo una presentazione di sue poesie all'università di Roma; Luigi Minnaja era diventato caporedattore delle trasmissioni esperanto di Radio Roma nel 1956 al ritiro di Ascenzio Blasimme, ed aveva istituito una rubrica letteraria fissa nella quale inseriva traduzioni di autori italiani. Egli alla fine della presentazione chiese al poeta il permesso di tradurre alcune sue poesie in esperanto. Ungaretti sorrise in modo un po' canzonatorio e disse: "Faccia pure; non le capirò"117. Poesie di

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Progetto di lingua internazionale, prodotto nel 1951 dalla IALA (International Auxiliary Language Association) e sostenuto dalla miliardaria americana Alice Morris. È dedicato essenzialmente agli europei ed è comprensibile (non scrivibile) quasi a prima vista senza studio da un parlante colto di una lingua neolatina. Nei primi anni Cinquanta era una novità, il che spiega la posizione di alcuni delegati a Montevideo. Che questo progetto si sia diffuso e sia diventato lingua con valori letterari appare ancora oggi, dopo oltre mezzo secolo, molto discutibile; la grammatica in italiano è stata pubblicata soltanto nel 1991 e l'associazione italiana è stata fondata soltanto nel gennaio 2005. Google dà attualmente 28 milioni di citazioni. 117 Testimonianza all'autore di Nicola Minnaja, presente al colloquio. 40

Ungaretti in esperanto furono recitate per la prima volta alla radio il 3 febbraio 1959; appariranno a stampa molto più tardi. La mozione approvata a Montevideo fu fortemente pubblicizzata all'esterno, ma ebbe risultati anche all'interno del movimento esperantista118. Molti ritennero che la mozione avesse, sì, riconosciuto l'esistenza di una cultura esperanto, ma avesse anche assegnato un compito: rafforzarla e rafforzarne il ruolo di mezzo di scambio tra culture diverse. Per il perseguimento di questo fine la mancanza di una rivista esclusivamente letteraria era sentita come un grave handicap. Literatura Mondo aveva chiuso ormai da 6 anni, e, pur dopo la destalinizzazione in Ungheria, non c'era possibilità di farla risorgere. L'ultimo comitato di redazione del 1949 era costituito dal redattore capo Kalocsay, e dai membri Szilágyi, Tárkony, Waringhien; principale collaboratore era Julio Baghy119. Szilágyi si era trasferito in Svezia dopo che in Ungheria avevano preso il potere i comunisti; a Baghy erano venuti meno, anche dal punto di vista economico, l'insegnamento e tutte le attività legate ad un movimento fiorente: congressi, serate teatrali, vendita di libri; dovette adeguarsi, lui pacifista, indulgente e amico di tutti, a diventare un poliziotto legato al nuovo regime. Waringhien, dopo un periodo di prigionia in un lager tedesco, era tornato alla normalità ed era professore a Parigi. Nasce con il numero di marzo-aprile 1955 Norda Prismo (Prisma del Nord) che si qualifica con semplici parole: "L'importante decisione dell'Unesco a Montevideo ci attribuisce un gran numero di compiti da assolvere." La rivista non parlerà di esperanto e del suo movimento, ma in esperanto di cultura, società e letteratura. In conclusione: "siamo un organo nordico, progressista, osservatore, critico, culturale, sociale, letterario". Il redattore è Ferenc Szilágyi, non esiste comitato di redazione; la rivista si presenta come bimestrale, con 288 pagine l'anno. E in realtà questa promessa è mantenuta per circa 16 anni, come pure è mantenuta la promessa sul contenuto. La rivista è nel complesso nordica, per quanto non manchino parecchi contributi dal Brasile e dall'Europa Centrale e Orientale. Dall'italiano compaiono due sonetti di Michelangelo (tr. Jiří Kořínek, ceco), Armonia di passi di Cesare Ruffato (tr. Sen Rodin, ps. di Filippo Franceschi)120, La sera del dì di festa di Leopardi (tr. N. Rossi). Dodici quartine dello spagnolo Gabriel Mora i Araña riguardano tre nudi di Modigliani. Cominciano a farsi notare su questa rivista, come autori originali, Lina Gabrielli nella novellistica e invece nella poesia Nicolino Rossi, che sarà uno dei grandi traduttori dei poeti italiani del Novecento. Simmetricamente, quasi a specchio, nasce qualche mese dopo la nica literatura revuo (la rivista letteraria nizzarda121; le minuscole sono intenzionali) con redattore capo Waringhien. 118

Nel 1958 l'Unesco proclamò Zamenhof una delle grandi personalità dell'umanità, ed invitò tutti alla celebrazione del centenario della sua nascita, che cadeva nel 1959. Nel 1985 la Conferenza Generale di Sofia approvò una mozione di plauso all'attività degli esperantisti con l'invito a celebrare nel 1987 il centenario della nascita dell'esperanto.. 119 Baghy si era dimesso nel 1933 dal comitato di redazione per dissensi sul troppo frequente uso di neologismi, pur restando un assiduo collaboratore. Baghy veniva da una classe sociale inferiore, e insegnava l'esperanto in molti paesi col metodo diretto; nella sua opera di diffusione della lingua gli era necessaria un'immagine di un esperanto dal lessico facile e non troppo esteso, in cui le sfumature dei vari significati delle parole si potessero ottenere tramite gli affissi apposti a un numero limitato di radici. La sua popolarità come poeta, novelliere, romanziere, attore, regista gli proveniva appunto dall'essere al livello dell'esperantista medio (il suo soprannome nel mondo esperantista era paĉjo, papà). Kalocsay era di famiglia nobile (nei primi anni si firmava: de Kalocsay) e di cultura assai più elevata. Per lui l'esperanto era un mezzo espressivo della sua capacità artistica, la necessità della diffusione era secondaria, e quindi un ampliarsi del lessico per esprimere sfumature o per rendere immagini letterarie a lui, poliglotta, non dava troppo fastidio. 120 Cesare Ruffato (1924 - ), poeta padovano, chiese egli stesso all'amico Filippo Franceschi di tradurre alcune sue poesie in esperanto; nei loro incontri egli voleva sentirle recitare e ne gustava il suono. Esistono molte traduzioni di sue poesie ancora in stato di manoscritto. 121 Anche il titolo è limitativo, e si riferisce all'amministratore e garante finanziario, che risiedeva a Nizza. 41

Questa si pone esplicitamente come seguito di Literatura Mondo, ancorché la concretizzazione sarà poi di livello assai inferiore. Ci sono alcuni inediti di Zamenhof che vengono pubblicati dopo mezzo secolo, le traduzioni e le opere originali abbondano, anche di livello molto alto, ma la presentazione critica è inesistente, non ci sono mai articoli sulla cultura in generale, si tratta solo di opere in esperanto messe in fila una dopo l'altra. Ề ripreso qualche aspetto di Literatura Mondo, come i numeri speciali dedicati ad una cultura nazionale specifica. La rivista rimane comunque sempre di aspetto modestissimo: formato inferiore all'A5, comitato di redazione sempre identico (tre francesi, uno spagnolo, un ceco, un croato, un inglese); 42 numeri che escono regolarmente nell'arco di sette anni, in copertina campeggia sempre il numero di conto corrente postale, mai una fotografia o una figura, artifici grafici all'interno (un corsivo, o una evidenziazione) quasi nulli. Anche in questo abito dimesso fa capolino la letteratura italiana: un'aria dalle Nozze di Figaro (tr. Pumpr, ceco), il Se fossi foco dell'Angiolieri (tr. Kalocsay), varie cose del Purgatorio, del Paradiso e della Vita nova che annunciano il sorgere di un vero astro della traduzione (e anche, in veste più dimessa, della poesia originale): Enrico Dondi, uno studente di medicina di Roma. Poi ecco Vittoria Gigante, che traduce ella stessa tre sue poesie originariamente in italiano, e Renato Colombo, tradotto da Clelia Conterno Guglielminetti. La fama di quest'ultima, che incontreremo ancora, si va costruendo anche attraverso poesie originali e qualche acuta recensione, spesso di libri scritti da donne. Una recensione del ceco Karolo Piĉ è fortemente critica nei confronti del volumetto delle poesie di Pascoli, tradotte da Azzi. Un (brutto) rifacimento di È la fede degli amanti non dichiara neanche il traduttore e mette come autore Metastazio (sic; è una trascrizione in esperanto basata sulla pronuncia italiana, la "z" in esperanto ha il suono della "s" sonora in italiano, e l'accento cade sulla "i"). La rivista ha anche delle curiosità pirandelliane, come una lettera di tale Arieh-ben-Guni (ps. anagrammatico di Waringhien) al redattore capo Waringhien, con critiche e suggerimenti… Quando la nica literatura revuo cessa le pubblicazioni nel 1962 l'Associazione Mondiale di Esperanto cerca di sostituirla con un'altra rivista esclusivamente culturale e di pubblicare tale rivista in proprio. Sotto il nome di Monda kulturo (Cultura del mondo) esce una rivista trimestrale che cerca di imitare, anche con il suo grande formato, la mai dimenticata Literatura Mondo. L'iniziativa si regge per un periodo molto breve, dal 1963 al 1966; per quanto riguarda l'Italia, nel 1965 c'è un lungo articolo del polacco Walerian Włodarczyk sul quarto centenario della morte di Michelangelo, con la riproduzione di due francobolli, uno russo e uno rumeno, che ricordano il grande artista fiorentino. 3.3 L'effetto Montevideo in Italia Il periodo centrale degli anni Cinquanta è importante per il movimento esperantista italiano per più motivi. L'eco di Montevideo (dicembre 1954), che era arrivato al pubblico, tramite periodici mensili o bimestrali, in febbraio-marzo 1955, si centuplica nel primo congresso mondiale successivo, che si svolge nell'agosto 1955 a Bologna122. Parlare di questo successo è estremamente gratificante per il popolo esperantista, e Ivo Lapenna, che tiene una applauditissima relazione, ha il suo più alto momento di gloria. La manifestazione ha un ottimo successo anche a livello di autorità: sono patroni il presidente della Repubblica Gronchi e i due ex-presidenti De Nicola ed Einaudi, il sindaco Dozza parla in esperanto, le 122

Il congresso mondiale si è finora svolto in Italia soltanto due volte: nel 1935 a Roma e nel 1955 a Bologna. Nell'agosto 2006 si svolgerà a Firenze. 42

due serate teatrali risultano molto gradite. Inoltre il congresso del 1955 è il quarantesimo e celebra i cinquant'anni dal primo congresso tenuto a Boulogne-sur-Mer, e quindi ci sono vari momenti evocativi fortemente emozionanti: vengono festeggiati quattro congressisti che avevano partecipato anche cinquant'anni prima. Nell'ambito di questa celebrazione le due città di Bologna e Boulogne-sur-Mer si uniscono in gemellaggio123. Il congresso internazionale giovanile si tiene a L'Aquila, dove Nicola Minnaja124 è eletto segretario dell'Associazione Mondiale della Gioventù Esperantista. Dal punto di vista organizzativo, la carica di Segretario permanente dei Congressi internazionali è assunta da un giovane italiano, Gian Carlo Fighiera, che la terrà onorevolmente per parecchi anni; l'esperienza che il Fighiera matura in questo lavoro sarà fortemente qualificante e gli servirà per assumere poi posti di grande rilevanza nella Federazione Internazionale degli Agenti di Viaggio. Fighiera è appoggiato da Lapenna, che diventa segretario generale dell'UEA in una nuova riorganizzazione statutaria. Lapenna è croato, trapiantato in Inghilterra, ma è nato a Spalato e la sua lingua materna è l'italiano, che egli parla con un simpatico accento dalmata a vocali aperte. Viene poi annunciata la prossima pubblicazione in dispense di un vocabolario italiano-esperanto redatto da Stefano La Colla, al momento uno dei più noti e competenti esperantisti italiani, membro dell'Accademia125. L'anno successivo sarà nominato presidente dell'UEA Giorgio Canuto, professore all'università di Torino126. Il movimento esperantista del nostro paese vive quindi un momento di grande prestigio, non soltanto organizzativo, ma anche culturale. In questo periodo di entusiasmo si ricomincia a parlare dell'Antologia italiana, rimasta in manoscritto presso la casa editrice Literatura Mondo allo scoppio della guerra. In realtà il manoscritto, che era stato dichiarato pronto per la pubblicazione, era ancora piuttosto lontano da una redazione definitiva. Kalocsay aveva commissionato al francese Henry Vatré la redazione della parte di prosa, e questi aveva stimolato gli italiani alla traduzione; però tale fatto era rimasto ignoto, e pertanto la FEI commissiona a Giordano Azzi la redazione di una antologia del tipo e dimensioni di quelle che si usano nei ginnasi italiani, una antologia che tenga conto anche di che cosa già è stato tradotto e anche, in maniera marginale, della popolarità all'estero di certi brani. Il primitivo canovaccio di Kalocsay non viene trascurato, e le poesie pubblicate su Literatura Mondo in previsione dell'uscita dell'antologia vengono acquisite dal nuovo redattore. Viene stesa una bozza, con la collaborazione di Kalocsay, Waringhien (anch'egli ottimo conoscitore dell'italiano), i coniugi Luigi Minnaja e Carolina Minio-Paluello, e le italianiste Clelia Conterno Guglielminetti e Margherita Ducati Bolognesi. Il gruppo è rappresentativo: ai due stranieri, già colonne della cessata Literatura Mondo, si affiancano quattro italiani competenti e già rodati in traduzioni. L'antologia è quindi in buone mani e sembra quasi completata alla fine degli anni Cinquanta: per le traduzioni mancanti vengono utilizzate anche delle giovanissime leve il cui lavoro viene coordinato e rivisto all'interno del gruppo esperantista di Roma. In questo gruppo si rivela il grande talento di Enrico Dondi, che con le sue traduzioni da Dante (Piccarda e Manfredi) e da Tasso (Cloridano e Medoro) vince vari premi in concorsi internazionali. Il comitato di redazione fa inoltre una scelta coraggiosa. Parecchie traduzioni erano state fatte anni, anche decenni, prima e non erano al livello adeguato ad una pubblicazione moderna, sia per la minore vastità del lessico del tempo, sia per una minore disinvoltura nell'uso della 123

I gemellaggi, molto frequenti negli ultimi trent'anni, erano una assoluta rarità all'epoca. Nicola Minnaja (1938 -), fisico, ha ricoperto cariche nel movimento esperantista nazionale e internazionale. 125 Il vocabolario, come vedremo nei capitoli successivi, si arenerà presto. 126 Giorgio Canuto (1897 - 1960), laureato in medicina e in giurisprudenza, fu professore di medicina legale a Perugia, a Parma (dove fu anche Rettore dell'università) e quindi a Torino. Fu perito giudiziario in processi famosi. Presidente della FEI (1950-1960), dell'UEA (1956-1960), tenne numerose conferenze all'università estiva internazionale; fu membro dell'Accademia di Esperanto. 124

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lingua. L'esperanto si era fortemente evoluto negli anni Trenta, ma il comitato di redazione decide che l'antologia è un omaggio collettivo degli italiani (e stranieri) alla lingua, e che quindi anche traduzioni antiquate, dopo un minimo indispensabile di ripulitura, hanno il diritto di essere incluse. Il livello sarà disuguale, le traduzioni non saranno omogenee, ma del resto non lo sono gli originali, e quindi anche queste traduzioni fanno parte della storia. Tanto entusiasmo tuttavia non viene subito premiato, perché la Federazione Esperantista Italiana, che si era assunta il compito della pubblicazione, decide di utilizzare le sue risorse finanziarie in altro modo. È un momento in cui una proposta di legge che consente di introdurre l'esperanto nelle scuole è allo studio del Parlamento, e quindi gli sforzi di tempo e finanziari sono dedicati a quello. L'antologia subisce un rallentamento che le è fatale: l'originario gruppo di collaboratori si disperde e per qualche anno il progetto viene accantonato. Un altro problema, che i redattori dell'antologia non trattarono, fu quello dei diritti d'autore: una tiratura di 1000 o 2000 copie al massimo, il cui esaurimento avrebbe avuto bisogno di vari anni, non dava margini tali da potersi confrontare con diritti d'autore che fossero appena più che simbolici. Per evitare i diritti fu deciso che l'antologia si dovesse fermare al XIX secolo. Tuttavia, una considerazione seria del problema avrebbe evidenziato che negli anni Cinquanta, ma anche negli anni Settanta, non erano scaduti i diritti neanche di Carducci, per non parlare di Pascoli o D'Annunzio, e quindi la scelta di arrestarsi a questi autori non poneva affatto al riparo da eventuali richieste di diritti. Peraltro le antologie usate nei ginnasi italiani negli anni Cinquanta comprendevano anche autori del XX secolo, ma raramente tali autori venivano realmente trattati nei programmi scolastici, per cui il comitato di redazione ritenne di non considerare autori successivi, che tra l'altro sarebbero stati ancora tutti da tradurre. Comunque il problema non fu mai quantificato seriamente: altre antologie di altre letterature nazionali uscite precedentemente comprendevano anche autori del secolo XX, e quindi quella italiana partiva con una qualità in meno. Ciò dette l'idea ad alcuni che sarebbe stato opportuno pervenire prima o poi ad un completamento che considerasse anche autori di stretta contemporaneità. Inoltre c'erano varie traduzioni che esistevano, ma non erano state pubblicate: quelle che venivano lette a Radio Roma. Il 3 febbraio 1959, in occasione del compleanno di Ungaretti (nato il 10 febbraio 1888), vennero trasmesse varie sue liriche: Gridasti: soffoco…, Amaro accordo, Se tu mio fratello, Tutto ho perduto. Nel 1959 viene assegnato, inaspettatamente, il premio Nobel per la letteratura a Quasimodo, spiazzando un po' l'editoria, che si trova improvvisamente senza copie di libri del premiato. Radio Roma effettua immediatamente una trasmissione celebrativa con traduzioni di Luigi Minnaja e già il 3 novembre vengono declamate le traduzioni di Amen per la domenica in albis, Elegia, Giorno dopo giorno, Milano, agosto 1943, Lettera alla madre, Il mio paese è l'Italia, Uomo del mio tempo, Alle fronde dei salici127. Anche di Corrado Govoni, in occasione della consegna di un premio, vengono lette le liriche Rondini d'Italia, La trombettina, Usignuolo e l'ultima parte del Dialogo dell'angelo e del giovane morto. Govoni e Luigi Minnaja non si conoscono: lavorano nello stesso ministero, ma in sedi diverse; nel contatto che si verifica in quella occasione Govoni esprime gratitudine e apprezzamento per le traduzioni. Le trasmissioni radio sono lo stimolo anche per un altro genere minore: la traduzione di canzoni. Le "notizie dall'Italia" prendono spesso una connotazione musicale, e la popolarità 127

Questa poesia è stata particolarmente popolare: ne sono apparse in quattro posti diversi versioni di quattro traduttori diversi. 44

all'estero di canzoni del Festival di Sanremo ha un suo piccolo aumento anche attraverso le traduzioni in esperanto interpretate ai microfoni di Radio Roma da Renata Salvatori, Livio Ficoroni ed Ennio Del Grosso. I testi vengono inseriti nei libretti che i giovani si portano dietro nelle gite, e le parole di En blu' farbita je blu' (Nel blu dipinto di blu), Pluvas (Piove), Ne aĝas mi (Non ho l'età), Kiam kiam kiam (Quando quando quando) e tante altre risuonano nei vari pullmann. Tali traduzioni hanno anche stimolato l'interesse di Modugno e di Tony Renis, con cui ci sono stati dei contatti. Canzoni in esperanto erano anche state cantate da interpreti più noti, come Rino Salviati durante un congresso a Varese e Teddy Reno alla RAI a seguito di un gioco radiofonico. I traduttori sono vari, per Radio Roma traduce L. Minnaja, per altre occasioni Umberto Broccatelli e Catina Dazzini. Nel complesso fino alla fine degli anni Sessanta Radio Roma trasmette 45 canzoni e due romanze d'opera. Gli anni Sessanta portano le celebrazioni del 7° centenario della nascita di Dante, a cui la comunità esperantista contribuisce con la pubblicazione di un'edizione di lusso della traduzione della Divina Commedia fatta da Giovanni Peterlongo, che, come abbiamo visto, non era mai stata pubblicata; essa comportò un profondo lavoro dal punto di vista sia editoriale che testuale, e di ciò vedremo una trattazione più dettagliata nel prossimo capitolo. Tale edizione, che era un unicum per le cento tavole del Botticelli mai fino allora pubblicate completamente, fu per vari anni un fiore all'occhiello dell'editoria esperantista, esposta in mostre d'arte e presentata come omaggio a varie autorità. Nel 1965 il congresso internazionale si svolge per la prima volta in Asia, a Tokio. Il discorso inaugurale, che per tradizione era stato fatto da Zamenhof dal 1905 al 1912 e che poi aveva visto il susseguirsi al podio dei più grandi e celebrati oratori, tra i quali molte volte il celebrato Lapenna, viene affidato ad un italiano venticinquenne128. È il segno di un vento diverso che avrà il suo culmine negli anni immediatamente successivi al Sessantotto; un vento diverso sia a livello organizzativo che a livello culturale e letterario. Kalocsay e il suo rigorismo metrico e ritmico non saranno più i modelli a cui ispirarsi.

128

È chi scrive queste pagine. Parte del suo discorso fu inserita in un libro di lettura giapponese: Miyamoto masao, Legolibro: de sezono al sezono, Tokio, 1969, pp. 61-63. 45

Capitolo IV

UN NUOVO GRUPPO LETTERARIO E UNA NUOVA RIVISTA 4.1 Giovani e meno giovani si confrontano e si uniscono Il 1969 segna l'inizio di una presenza fortemente visibile di intellettuali italiani nel mondo letterario esperanto. Valerio Ari, che presto firmerà con lo pseudonimo Giorgio Silfer129, aveva incontrato l'esperanto per caso, trovando un libro in casa della cognata Rosa Vecchi. Era un giovane di 20 anni, dinamico, appassionato di letteratura e di critica. Una sua novella, Gabriela, la sua prima produzione letteraria in esperanto, era stata premiata nel 1968 in un concorso di un congresso europeo, a Montecatini. Ma Silfer si spostò subito nella dimensione sodale: nel maggio 1969 insieme a Manuela Bottiglioni fondò un circolo letterario esperantofono con uno sfondo culturale italiano, di nome La Pattuglia (in esperanto: La Patrolo). Venivano così portate avanti due caratteristiche: l'italianità della formazione culturale e l'interesse per la letteratura esperanto. I due fondatori lanciarono un appello programmatico a cui risposero varie persone già attive sul campo, anche se in maniera individuale. Aderirono subito Nicolino Rossi e Carlo Minnaja (autore di queste pagine), il quale firmò un manifesto di intenti insieme ai due fondatori. In una prima riunione sperimentale, tenutasi a Como nel settembre 1969, si incontrarono Silfer e Minnaja. Successivamente, ancora nel 1969 si unirono Biagio Trapani130 e Adriana Riccadonna Anselmi131. Parallelamente, durante il Congresso Mondiale in agosto si seppero i nomi dei premiati nei tradizionali concorsi letterari banditi ogni anno dall'Associazione Mondiale di Esperanto: Nicolino Rossi, cittadino sammarinese abitante a Napoli, vinse il primo e il secondo premio in poesia originale; Gaudenzio Pisoni, preside di un istituto tecnico a Novara, vinse il primo premio con una traduzione da Montale, La casa dei doganieri, e il terzo con la traduzione di Rio Bo di Palazzeschi132. Questi due poeti coglieranno allori anche in concorsi degli anni immediatamente successivi: il Rossi si affermerà ancora nel ramo della poesia originale, e il Pisoni sarà premiato per le traduzioni di Riso di bella donna del Chiabrera, Su Monte Mario di Carducci, Pianefforte 'e notte di Di Giacomo133. Sulla scia di questi successi è richiesta la loro collaborazione come recensori. Due italiani quindi s'imponevano all'attenzione del pubblico, e le traduzioni riportavano in piena luce poeti italiani, in particolare dell'Ottocento e del Novecento. Le personalità singole dunque c'erano: lo scopo dell'appello e del manifesto programmatico era di aumentare il prestigio degli autori italiani nella letteratura esperanto e incentivarne la collaborazione, creare un embrione di una "scuola italiana" nel mondo esperantofono, come si era formata una "scuola di Budapest" concretatasi negli anni Venti sotto l'influsso di Kalocsay e una "scuola scozzese", che si era annunciata nel 1952 con corifeo William Auld. I propositi erano ambiziosi; per quanto, come abbiamo visto, non pochi italiani fossero stati presenti nel parnaso esperantista, la formazione 129

Questo pseudonimo, inizialmente usato solo per scritti a carattere pubblicistico e letterario (in esperanto per la prima volta nel 1968), dal 1973 divenne secondo nome a tutti gli effetti, con dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà. 130 Siciliano, fu attivo per qualche anno anche con produzione originale in esperanto. 131 Poetessa anche in italiano, con una certa notorietà locale nel veronese. 132 Per un bizzarro refuso la pubblicazione ufficiale dei risultati del concorso attribuisce anche La casa dei doganieri a Palazzeschi. 133 Nella poesia originale compare un'altra voce italiana: Lina Gabrielli, una pubblicista di Ascoli Piceno. 46

di un gruppo che si dichiarasse tale era un atto di coraggio, di cui il principale attore era Giorgio Silfer. Come le altre scuole menzionate, la caratteristica principale era la nazionalità: non già perché l'esperanto parlato o vissuto in Italia fosse diverso da quello di ogni altra parte del mondo, ma perché lo scopo era di far conoscere il mondo italiano attraverso l'esperanto e anche collegare la lingua internazionale a circoli culturali italiani. Diventava quindi indispensabile avere la possibilità di pubblicare: una prima sede per i contributi del gruppo fu una rubrica settimanale in Il Meridionale Italiano, un giornale che usciva ogni uno o due giorni e che si pubblicava a Salerno, con una redazione anche a Milano134. Per il primo anno tale rubrica, che tuttavia non uscì proprio tutte le settimane, funzionò come organo del gruppo; vi apparvero contributi dei membri della Pattuglia e informazioni sulla letteratura esperanto. Ma era troppo necessaria la fondazione di un periodico autonomo che creasse una cassa di risonanza per una nuova politica culturale. Il momento era propizio: La nica literatura revuo aveva chiuso le pubblicazioni nel 1962, Norda Prismo stava naufragando in difficoltà, il tentativo dell'UEA di assumere in proprio il compito di lanciare e mantenere una rivista culturale, Monda kulturo (Cultura del mondo) si era arenato nell'arco di tre anni (1963-1966). Nel 1970 vengono cooptati nella Pattuglia i già citati Clelia Conterno Guglielminetti, di Torino, e Gaudenzio Pisoni, mentre non risultavano più attivi Trapani, la Bottiglioni e la Riccadonna Anselmi, per cui il vero nucleo lavorativo e rappresentativo rimase di cinque persone. Tra le prime attività vi fu quindi, nel 1970, la fondazione di una rivista, che, con assai poca fantasia, fu chiamata Literatura Foiro (Fiera letteraria). Il nome non era scelto a caso: in quel titolo c'era anche una non nascosta ambizione di prendere il testimone da La fiera letteraria che proprio nel 1968 aveva cessato le pubblicazioni135. Del resto, anche il nome stesso La Pattuglia echeggiava La Ronda. Si era stabilita così una intensa collaborazione tra alcune personalità italiane della cultura esperanto. Nicolino Rossi, segretario di un albergo a Napoli, aveva già vinto vari premi nei concorsi letterari legati ai Congressi Mondiali di Esperanto tra il 1968 e il 1970. Si affermerà come poeta originale e come il principale traduttore di Ungaretti e Zanzotto. Clelia Conterno Guglielminetti (come allora usava, il cognome da nubile per ultimo, e spesso omesso) merita un discorso a parte, sia per la sua attività letteraria in italiano, sia per la sua attività redazionale, nonché di traduzione e organizzazione. Alla Conterno venne dedicato un breve saggio proprio sulla rivista Literatura Foiro nel 1971 e, alla sua morte nel 1984, un commovente necrologio sulla rivista della FEI, che lei aveva diretto per anni. Nata a Torino nel 1915, si laureò in lettere con una tesi, poi premiata anche all'Accademia dei Lincei, su un episodio singolare dell'antica storia polacca di cui era stata protagonista Maria Ludovica Gonzaga Nevers; in occasione della tesi fu a lungo in Polonia. Fu attiva nella Resistenza, collaborando alla rivista In marcia! delle donne democristiane, ed essendo coordinatrice di diversi gruppi antifascisti, in particolar modo quelli che aiutavano i deportati. Il marito, Cesare Conterno, un matematico attuariale, dopo aver combattuto sul fronte russo nell'artiglieria contraerea, nel 1943 fu catturato a Mantova e internato dai tedeschi in quanto rifiutatosi di aderire alla Repubblica di Salò; dopo quasi un anno di internamento fu fatto tornare con uno stratagemma della cellula antifascista della FIAT, e si unì ad una banda partigiana che poi liberò la città di Alba. Sulla vita nei campi di internamento, sul giuramento fatto su un drappo tricolore sdrucito per poter opporre alle lusinghe tedesche la propria fedeltà ad una parola data, la Conterno scrisse più tardi, nel 1969, un libro per ragazzi In tanti a dire 134

A metà degli anni Settanta il giornale si tramutò in una rivista mensile sotto la direzione di Vincenzo Maria Valli, che era stato il capo della redazione milanese. 135 Le riprenderà nel 1971 ma terminerà dopo pochi numeri. 47

di no, che fu adottato come lettura in varie scuole136. Mentre gli esperantisti italiani dell'anteguerra erano spesso isolati come operatori letterari, salvo il caso già visto di Mazzolini, la Conterno, allora ancora Guglielminetti, aveva avuto il battesimo letterario in esperanto appena ventenne sulla rivista La Pirato (Il pirata)137, contribuendo con poesie e disegni originali. La sua maturazione quindi iniziò prima della seconda guerra e si rafforzò tramite contatti fuori dei confini italiani. Profondamente cattolica, traduce in esperanto L'imitazione di Cristo (1946). I suoi versi, che poi compariranno nel volumetto Eta vivo (Una piccola vita) 138, riecheggiano Gozzano per la malinconia, la precisione del ritmo cantilenante, le descrizioni di paesaggi dolci e lontani. La guerra interruppe i sogni e portò ad una maturazione rapida; dopo la fine del conflitto e la ripresa della normale vita familiare seguì la lunga ed affannosa ricerca delle gioie della maternità, tre aborti, le cure tante volte intraprese per giungere ad un concepimento e poi riuscire finalmente a portarlo a termine, con un cesareo, a quarantun anni. Di questa sua attesa così lunga, vissuta spesso come una effettiva diminutio, quasi una condanna divina, racconta in un libro, Bambino mio tanto atteso (ed. Paoline)139, che ha come sottotitolo Lettera ad un bambino che è nato140, che volutamente riecheggia il più famoso titolo della Fallaci. Le sue ansie e la sua felicità finale si esprimono nel Cantico per la mia creatura, un lungo poema in versi sciolti inframmezzati da rime che colgono di sorpresa. È una poetessa bilingue: in italiano escono Una piccola vita nel 1957 e La tempesta nel 1959, che raccolgono anche dei premi. Il suo mondo è semplice: la scuola, la famiglia, il marito, il figlio, i libri. La scuola l'ha scelta lei come missione: insegna per lungo tempo in una scuola media ai bambini poliomielitici, poi, quando la malattia è stata vinta dal vaccino Sabin, insegna al liceo. La Conterno si muove nella realtà torinese, amica di Lalla Romano141, che come lei ci ha donato un lungo dialogo tra madre e figlio: ma la Conterno si affida alla lingua internazionale per proporre al mondo i suoi sentimenti, le sue speranze. Poetessa, ma anche scrittrice di novelle, saggista, critica: è la personalità culturalmente e letterariamente più alta dell'Esperantia142 italiana degli anni dai Cinquanta alla fine dei Settanta: la sua modestia la rende defilata, ma il suo impeto le crea amici e nemici. Clelia si unisce agli altri membri della Pattuglia con un afflato giovanile, e l'averla chiamata a far parte del gruppo può sembrare una operazione di marketing: il giovane Silfer ha bisogno di avere come compagni di strada personalità già affermate. Queste saranno un buon centro di attrazione per abbonamenti alla rivista, che ospiterà sempre anche contributi di Silfer stesso, che così si conquista da molto giovane una certa notorietà. Carlo Minnaja è conosciuto nel movimento, viene da una famiglia di esperantisti molto attivi, è stato educato perfettamente bilingue, è stato per cinque anni nel direttivo dell'Organizzazione Mondiale della Gioventù Esperantista, è Direttore Generale dell'Istituto Italiano di Esperanto e membro del direttivo della Federazione Esperantista Italiana: è una buona garanzia per avere appoggi nelle organizzazioni storiche del movimento, che si occupano maggiormente di insegnamento e di attività informative e promozionali in genere piuttosto che specificamente di letteratura. Clelia 136

Cesare Conterno tornò dal campo di internamento militare minato irrimediabilmente nel fisico, con una grave deficienza epatica dovuta ad edemi da fame. Riprese a lavorare, ma si spense per i postumi di tale malattia a metà degli anni Settanta. 137 Rivista satirica (giugno 1933 - dicembre 1935), prodotto dell'umorismo parigino, sotto la direzione e la guida letteraria di Raymond Schwartz, fondatore di un cabaret in lingua esperanto, poeta, romanziere, novelliere. 138 C. Conterno Guglieminetti, Eta vivo, Stafeto, 1969. 139 Quest'opera ha vinto il primo premio al concorso internazionale "Larius" nel 1978. 140 La traduzione in esperanto, a cura del francese Roger Bernard, è apparsa nel 1982 in Germania sotto il titolo Unu tago post la alia (Un giorno dopo l'altro), ed. Iltis. 141 Lalla Romano confermò i suoi contatti con la Conterno in una tavola rotonda presso la redazione dell'Avvenire, nel 1972 (testimonianza all'autore da parte di G. Silfer, uno dei quindici selezionati a partecipare). 142 Termine introdotto in italiano da G. Silfer, per indicare l'ambiente esperantofono, ricalcato sul termine in lingua internazionale Esperantio, a sua volta ricalcato sul modo di formare i nomi delle nazioni. 48

ha 26 anni più di Minnaja e 35 più di Silfer: c'è un'intera generazione tra lei e gli altri due. Eppure nelle frequenti riunioni del gruppo la sua autorità indiscussa non è mai fatta pesare; uno dei giovani la chiama "mamma". Clelia è anche lei estremamente attiva nel movimento esperantista e nella cultura che vi circola intorno. Membro dell'Accademia di Esperanto, massima istituzione linguistica, redattrice per anni della rivista della Federazione Esperantista Italiana, si era dedicata con passione anche ad un altro lavoro estremamente impegnativo: la revisione della traduzione della Divina Commedia, resa in endecasillabi sciolti da Giovanni Peterlongo. Quando, in previsione del 7° centenario della nascita di Dante, il figlio di Giovanni Peterlongo, l'ing. Paolo, decise di dare alle stampe quel manoscritto ormai antico, si pose il problema di una revisione: il manoscritto non aveva mai visto la luce, e la lingua era, per così dire, "invecchiata": alcune parole esperanto erano cadute in disuso, in altre situazioni il ritmo lasciava a desiderare. Inoltre il Peterlongo aveva appreso l'esperanto come autodidatta e aveva effettuato gran parte della traduzione in stato di isolamento; nessun altro conoscitore della lingua gli era stato vicino, con nessuno egli aveva potuto scambiare opinioni e impressioni. I revisori del testo esperanto e gli esperti consultati per il testo italiano furono più di uno, e qualcuno lo abbiamo già incontrato: i fratelli Bruno ed Elio Migliorini, Piero Bargellini, Enrico Dondi, Rinaldo Orengo. Alcuni avevano ecceduto nelle correzioni, Clelia invece preferì rispettare per quanto possibile l'intenzione del primo traduttore. Gli stranieri che fecero un'ultima revisione, onde eliminare possibili italianismi, furono Waringhien, e un olandese, Wiel Manders. Clelia Conterno fu instancabile anche negli ultimi ritocchi. Dovendosi preparare un'edizione per un pubblico internazionale, era doveroso valutare quante e quali cose di Dante un pubblico così vasto già poteva conoscere; ella fece varie inchieste in tal senso e, con somma sorpresa, notò che gli avvenimenti del medioevo italiano erano a grandi linee ben noti a tutti i liceali di tutti i paesi, specialmente i giapponesi. Pertanto Carlo Magno e Barbarossa ebbero bisogno di ben pochi cenni di chiarimento, e le lotte tra il Papato e l'Impero non necessitarono di spiegazioni. Terminata la revisione della traduzione, la preparazione dell'opera e la sua collocazione nell'editoria impegnarono la Conterno per altri mesi. L'edizione fu del tutto bilingue; Bruno Migliorini scrisse un breve ma incisivo saggio su Dante, Piero Bargellini raccontò in un altro saggio le peripezie che subirono i disegni del Botticelli, incisi a decorazione della Commedia, provenienti da musei diversi, che fino allora non erano mai apparsi a decorazione di una Divina Commedia stampata143. Il testo italiano a fronte rendeva l'opera fruibile anche nella parte originale per chi, conoscendo non bene l'italiano dantesco, poteva aiutarsi con la versione esperanto. Un ultimo impegno fu la collocazione dell'opera nella serie "Oriente-Occidente", serie che raccoglie soltanto capolavori assoluti, pietre miliari della letteratura di ogni tempo e di ogni paese144. Sono libri tutti dello stesso formato, ma questo era troppo piccolo per poter dare respiro alle stampe del Botticelli, per cui la Commedia fu collocata nella serie come opera straordinaria, senza numero. La Conterno stessa raccontò, parecchi anni dopo, nel 1973, su Literatura Foiro, della sua fatica 143

L'anno successivo uscì un'edizione della Commedia in italiano presso l'editore Nanni Canesi, che anch'essa portava le riproduzioni dei disegni del Botticelli. 144 Nella sua collaborazione con l'Unesco, decisa dalla conferenza generale dell'Unesco stessa a Montevideo nel dicembre 1954, l'Associazione Mondiale di Esperanto ha sempre dedicato un'attenzione particolare al grande progetto dell'Unesco avente come scopo il reciproco apprezzamento dei valori culturali dell'Oriente e dell'Occidente. Come contributo specifico a tale progetto il movimento esperantista organizzato ha istituito una serie speciale di opere particolarmente importanti e rappresentative delle letterature nazionali. Il primo volume della serie fu Pietra affamata, una raccolta di novelle di R. Takhur (spesso trascritto in occidente come Tagore), il più famoso autore in bengali; il secondo fu una raccolta di racconti del giapponese Mori Oogai, il terzo fu La nausea di Sartre, il quarto l'epopea nazionale finlandese Kalevala e il quinto l'epopea nazionale argentina Martin Fierro. Dopo la Commedia la serie è continuata con il Re Lear e poi altri fino adesso. 49

nel portare a termine l'opera; la soddisfazione più grande fu il vedere il volume nell'Esposizione Internazionale del Libro d'Arte a Milano, nell'ottobre 1964. Ancora, tra il 1970 e il 1983, Clelia revisionerà con lo scrupolo della studiosa, l'istinto della poetessa, la precisione della disegnatrice e il suo solito slancio ottimistico, le schede del vocabolario italiano-esperanto che chi scrive stava portando avanti a completamento del progetto lanciato da Stefano La Colla nel 1955145. Alla sua morte, nel gennaio 1984, lascia un romanzo manoscritto, dal titolo provvisorio Ho, tomboj de l' prapatroj… (O tombe degli avi….); è un romanzo autobiografico, le signorine Grisotti sono la trasposizione romanzata, e arretrata nel tempo, di Clelia stessa e della sorella minore Marisa146. Si tratta di "un romanzo d'amore vissuto nel clima tranquillo della provincia piemontese, scandito dagli echi del canto gozzaniano, dedicato all'amica di nonna Speranza. È un'operazione culturale che onora il suo cattolicesimo, ma anche ci ricorda Le piccole donne di Louise Alcott. Cosa era l'amore nell'Ottocento, e quanto più bello era di oggi, allorché il sesso ha preso il sopravvento sul sentimento."147 La Pattuglia tuttavia non è una scuola: manca l'unità di intenti e di stile, manca la progettualità di un disegno comune, ognuno traduce e produce versi per conto suo, senza proporre scelte da condividere. È un mondo chiuso, ancorché fosse nata con un invito aperto a quanti fossero interessati. I cinque che costituiscono il gruppo nel 1970 pongono come regola che si diventa membri solo per cooptazione all'unanimità. Nel 1972 sarà accolto Gianluigi Gimelli, un ingegnere bolognese esperto anche di grafica, che si era messo in luce in concorsi di poesia originale; nel 1974 sarà cooptato il ticinese Tazio Carlevaro, uno psichiatra di Bellinzona, il più colto nel campo dell'interlinguistica (sa esprimersi anche in Ido e in Interlingua) e co-redattore di un volume enciclopedico sull'intero mondo esperantofono148. 4.2 Ancora una rivista letteraria La rivista Literatura Foiro creò dunque un centro di coagulazione: sua principale caratteristica era di essere italiana, di stile italiano, anche se non soltanto di cultura italiana. La rivista è all'inizio dichiarata bimestrale: lo annuncia il primo numero, un tenero fascicoletto di 12 pagine, nel giugno 1970. Essa si dichiara organo del circolo letterario italiano "La Pattuglia", dando così un'ufficializzazione al gruppo e alla sua proposta culturale. Per il momento il numero dei collaboratori è intenzionalmente chiuso: pubblicano soltanto i membri del gruppo, o quasi149. Una cura particolare è dedicata alla grafica e alle vignette, cosa di cui la nica literatura revuo era assolutamente priva, e anche Norda Prismo non era mai andata al di là di banali fotografie. Firmano disegni, vignette e grafica Tinin Mantegazza, Giancarlo Mangini, James Rivière, Alda Vercesi, nomi che poi diventeranno conosciuti nel loro ambiente. Per riempire le pagine della rivista parecchio materiale era già pronto ed attendeva solo una collocazione editoriale: l'ambizione di costruire una Antologia Italiana, già annunciata nel 145

Stefano La Colla era morto nel 1966, lasciando incompleto il progetto; vd. Cap. V. Marisa Guglielminetti, poi maritata Michon, ebbe anch'essa forti difficoltà nel diventare madre, e le due sorelle furono molto unite anche da questa comune sofferenza. 147 La citazione è da Giorgio Silfer, Il contributo italiano alla letteratura originale in esperanto, tesi di laurea in materie letterarie, Univ. di Genova, a.a. 1985-86. 148 I. Lapenna, U. Lins, T. Carlevaro, Esperanto en perspektivo (L'esperanto in prospettiva), UEA, Rotterdam, 1974. 149 Compare nel primo numero una traduzione di Luigi Minnaja (padre di Carlo), che come redattore delle trasmissioni in esperanto di Radio Roma aveva dedicato molto ai poeti del Novecento. 146

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1935 su Literatura Mondo, aveva stimolato il talento di alcuni traduttori. Uno di questi fu il già citato Gaudenzio Pisoni (1920-1988), che era stato compagno di prigionia del marito di Clelia Conterno150. Il primo numero della rivista, che porta la data "giugno 1970", contiene tre traduzioni da Ungaretti, e ad Ungaretti è dedicata anche l'ultima delle dodici pagine, oltre che un originale ritratto a schizzo151. Il poeta era morto il 1° giugno; il dedicargli una larga parte del primo fascicolo era già una dichiarazione di intenti: restare nell'assoluta attualità letteraria152. Le tre poesie sono tradotte da tre persone diverse. La prima, una parte di Gridasti: soffoco…, era stata la prima traduzione di Ungaretti in esperanto, trasmessa, come già detto, a Radio Roma ancora nel 1959; di Nicolino Rossi è la traduzione di San Martino del Carso e di Gaudenzio Pisoni è Il tempo è muto. La Pattuglia non è unitaria né nella sua formazione artistica né nelle sue scelte di fondo. Silfer è didatta, saggista, poeta, prosatore, traduttore, oratore, organizzatore. Pisoni traduce senza nessun criterio selettivo, dai classici rinascimentali ai poeti contemporanei, e non si cimenta in poesia originale. Giunto all'esperanto in età relativamente tarda, sui quarant'anni, non si pone il problema: che cosa è bene tradurre per proporlo in un ambiente internazionale? Traduce a seconda della simpatia del momento. La Conterno spazia anche lei, ma con una scelta più limitata: è una poetessa in italiano, e preferisce tradurre dalla letteratura contemporanea. Carlo Minnaja espleta principalmente un'attività di critica e di recensione. Rossi è il vero poeta, padrone della parola e del sentimento, e come sa poetare sa tradurre: le sue passioni sono Leopardi e Ungaretti153. Gimelli, meno padrone del ritmo, riesce più nei suoi brevi versi originali che nelle traduzioni, che comunque sono rivolte solo ai poeti contemporanei; ha inoltre un ottimo talento nella grafica. Carlevaro pone al servizio del gruppo e della rivista la sua enciclopedica cultura storica e letteraria e la sua abilità di saggista. Un altro elemento di differenza consiste nella formazione spirituale. Soltanto la Conterno e il Pisoni sono profondamente cattolici; Silfer e Rossi hanno esperienze spirituali diverse, gli altri sono agnostici. Una ulteriore differenza appare nei contatti con le istituzioni esperantiste tradizionali, quali le associazioni nazionali e internazionali, l'istituto che organizza e controlla i corsi, l'Accademia che sovrintende all'evoluzione della lingua. Silfer è piuttosto lontano da queste strutture e se ne distacca sempre più, Rossi fa un movimento di fronda all'interno di queste, Carlevaro è svizzero e non partecipa di eventuali dissapori con la Federazione Esperantista Italiana; gli altri invece sono fortemente integrati anche nella dirigenza (nel 1973 Minnaja sarà anche cooptato nell'Accademia, dove già c'è la Conterno, unica altra italiana), partecipano ai congressi, pagano le quote associative, vedono nel movimento ufficiale l'unica strada che conduce ad un pubblico e ad un mercato154. Ma il tratto comune era l'impulso a farsi conoscere e a far conoscere la letteratura italiana nel mondo esperantofono: la voglia di rompere l'isolamento e di staccarsi dalla tradizione ha reso ininfluenti le differenze e ha formato un gruppo compatto. La scelta della politica culturale da seguire non è sempre indolore o senza contrasti; alcuni intellettuali esterni vorrebbero aggregarsi, ma la cerchia rimane estremamente ristretta. La rivista comincia cautamente ad 150

Gaudenzio Pisoni e Cesare Conterno furono internati nello stesso campo, e si ritrovarono dopo la guerra in un convegno di reduci. Soltanto dopo il Pisoni ebbe coscienza che il commilitone con cui aveva scambiato una pagnotta per una sigaretta era il marito di Clelia. 151 Disegno di Alda Vercesi, milanese. 152 Il motto della rivista era "Stai aggiornato con la tua cultura!" 153 Molto più tardi, Nicolino Rossi si interesserà del Petrarca e tradurrà molto dal Canzoniere; del Leopardi è quasi completata la sua traduzione di tutte le liriche. 154 Con il tempo variano le situazioni, e oggi si può dire che è fiorente un intero circuito di utilizzo dell'esperanto al di fuori delle organizzazioni storiche. 51

aprirsi alle collaborazioni esterne nel 1971, ma la politica redazionale è sempre decisa esclusivamente dai membri della Pattuglia, che si riuniscono periodicamente, più spesso a Milano di domenica, quando è quasi impossibile trovare un ristorante aperto, oppure altrove in occasione di qualche convegno. Nel 1971, quindi solo due anni dopo la fondazione del gruppo e un anno dopo la nascita della rivista, la Pattuglia organizza un concorso letterario, la cui premiazione si svolge durante il congresso nazionale di esperanto di Grosseto. Fu un'iniziativa di grande stimolo: concorsi letterari non si erano mai avuti in Italia, e ciò permise di scoprire nuovi talenti e di valorizzarne di già noti. Gimelli verrà cooptato nella Pattuglia proprio a seguito di una vittoria in uno di questi concorsi, Lina Gabrielli diventerà una scrittrice ed editrice affermata, Alfredo Perricone Pirandello155, dapprima conosciuto solo in Sicilia, troverà una notorietà di prosatore brillante a livello nazionale. Numerosi concorsi letterari italiani si accorsero che la lingua internazionale poteva "aspirare ad essere soggetto, e non solo oggetto, di cultura"156 e istituirono un ramo "esperanto". L'utilità era reciproca: gli autori in esperanto prendevano coscienza dell'esistenza di questi concorsi locali e trovavano quindi maggiore stimolo per esprimersi e maggiore spazio per emergere; a loro volta gli organizzatori di concorsi prettamente locali trovavano un'eco insperata in una dimensione spesso internazionale. Inoltre, la necessaria istituzione di una sottogiuria che fosse competente nella lingua internazionale metteva a contatto intellettuali esperantofoni con altre cerchie intellettuali, in un arricchimento reciproco. Se il capo della Pattuglia è Rossi (sostituito poi da Carlevaro), il motore è Silfer che pubblica le sue opere e sa coagulare persone anche attorno ad altre attività che non sono quelle rutinarie dei congressi e delle associazioni: verrà istituita una piccola compagnia teatrale che metterà in scena delle commedie, verrà poi sviluppata anche la musica con la produzione di cassette. La rivista, sotto l'insegna Librofako de LF (Settore librario di LF), nel 1973 pubblica la sua prima opera: un libretto dello jugoslavo M. Gijvoje sui sinonimi, omonimi, antonimi, paronimi e giochi di parole in esperanto157. È un'opera a metà tra il linguistico e il letterario, che aumenta la visibilità del gruppo a livello internazionale. Con il passare degli anni la Pattuglia comincia a sentire il bisogno, dopo una grande attività per certi versi dispersa e dispersiva, di pubblicazioni che riuniscano gli sforzi. Nel 1975 vi è da parte di un coraggioso editore appena ventenne, un'iniziativa di una certa portata: la pubblicazione del ciclo ungarettiano Il dolore, nella traduzione di Nicolino Rossi158. Il rapporto tra Ungaretti e l'esperanto si può definire un amore tardivo e rifiutato: incomprensibilmente tardivo, incomprensibilmente rifiutato. Negli anni Venti, quando la rivista Literatura Mondo si occupava con grande attenzione della letteratura italiana e delle sue nuove voci, abbiamo visto che mai fu citato Ungaretti. Delle sue poesie, mai nessuna traduzione era uscita a stampa, le prime compaiono appunto in Literatura Foiro alla sua morte. A sua volta, alla conferenza dell'Unesco a Montevideo il poeta aveva avuto nei confronti dell'esperanto la posizione che abbiamo visto: e non si trattava solo di un'opinione presentata in una discussione, ma di una fattiva azione contraria che non riconosceva validità letteraria a quanto prodotto da generazioni di esperantisti in oltre 60 anni di attività. Si trattava, evidentemente, di una disinformazione, ma non è troppo severo dire che si trattava di 155

Nipote per parte femminile di Luigi Pirandello. Citazione da G. Silfer, Op. cit. 157 Marinko Ĝivoje, Esperantonimoj, s.i.p., Milano, 1973. 158 G. Ungaretti (tr. N. Rossi), La doloro, La Nuova Frontiera, Pisa, 1975. 156

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una disinformazione intenzionale. Difficilmente si può perdonare ad un professore universitario di lettere la non conoscenza di un fenomeno come la lingua internazionale. Il consenso alla traduzione di sue poesie, dato con degnazione e una certa ironia negli anni Cinquanta, viene poi concretato dalla figlia, che concede gratuitamente, così come l'editore Mondadori, il permesso di pubblicazione per il ciclo Il dolore. Il traduttore, Rossi, è all'acme del suo prestigio e le sue capacità di rendere Ungaretti, la parola breve e l'immagine sintetica, il grido di dolore e il ritmo regolare del verso, sono messe a dura prova, ma la riuscita è ottima. Se il rapporto con Ungaretti si concreta a stampa subito dopo la sua morte, il rapporto con Montale ha una strada diversa. Pisoni pubblica, sul terzo numero di Literatura Foiro, ottobre 1970, La casa dei doganieri, premiata l'anno precedente nel concorso internazionale, e Gloria del disteso mezzogiorno. Nel 1975 Montale riceve il premio Nobel perché, dice la motivazione della giuria, "ha interpretato i valori umani sotto il segno di una percezione della vita senza illusioni". L'interesse per le sue poesie ha quindi un'impennata, ma il poeta è difficilmente avvicinabile: ha già 79 anni e dopo la scomparsa della moglie sente pesantemente l'effetto della vecchiaia. Silfer è segretario del centro culturale "Giancarlo Puecher"159 a Milano, ideologicamente vicino al partito repubblicano, in particolare al sen. Spadolini160; questo centro è contiguo ad un altro centro, di orientamento democristiano, legato all'on. Rognoni161. Il segretario del centro democristiano e Silfer pervengono a buoni rapporti di amicizia. Montale a Milano aveva contatti con la Democrazia Cristiana, allora partito di maggioranza relativa. Attraverso queste amicizie Silfer riesce a contattare Montale, ma il poeta è infastidito dalle interviste e le concede solo ad alto prezzo: decidono per lui una governante tuttofare e un agente letterario. Montale non crede ad una lingua pianificata (o "artificiale", come si diceva una volta), e si rifiuta di rilasciare un'intervista che esca in esperanto; a sua volta Literatura Foiro rinuncia all'intervista anche per il costo elevato. Tuttavia Montale acconsente a farsi intervistare da Silfer per un giornale finlandese, Savon Sanomat ("Il giornale della Savonia", una regione della Finlandia dove Silfer abitava in quel periodo). Inoltre acconsente che su Literatura Foiro compaiano una sua fotografia e traduzioni di sue poesie, e infatti compaiono subito, in dicembre 1975, Maestrale, Upupa e una nuova versione di Gloria del disteso mezzogiorno (tr. Pisoni). Nel 1978 è ripreso un breve articolo di Montale comparso su Solaria cinquant'anni prima, che guardava al tema autoreattore in riferimento al Charlie Chaplin di La febbre dell'oro. L'articolo è pervaso da un certo pessimismo: l'arte di oggi, e in particolare anche l'arte cinematografica, è sempre più un'arte di pochi e per pochi. Nel 1981 c'è il doveroso omaggio alla morte del poeta: vi contribuiscono Silfer, Gimelli e un nome che si sta affermando: Giulio Cappa. Lo sfondo culturale italiano di Literatura Foiro permane anche quando all'inizio del 1976 la redazione si trasferisce in Finlandia, ereditando e incorporando la rivista Norda Prismo, il cui ultimo numero era uscito nel 1974 e che non riusciva a uscire da una profonda crisi economica e strutturale. Compaiono la prima parte de I sepolcri (tr. L. Minnaja), La sera del dì di festa (tr. Rossi), Mar grigio di Palazzeschi (tr. Pisoni), Il canto di Ulisse da Se questo è un uomo di Primo Levi (tr. Conterno). I rapporti tra Primo Levi e Clelia Conterno furono diretti: l'autore apprezzò molto che si dedicasse attenzione a lui anche nell'ambito esperantofono. Del pari apprezzamento per la traduzione dimostrò Milena Milani per un brano da La ragazza di nome 159

Nel 1977 nei locali di quel centro Silfer fu aggredito e sequestrato da una squadra di terroristi di "Prima linea". 160 Giovanni Spadolini (1925 - 1994), storico, giornalista e uomo politico, più volte ministro, fu il primo presidente del consiglio non democristiano del dopoguerra (1981 - 1983). 161 Virginio Rognoni, più volte ministro, diventò ministro degli interni nel 1978 alle dimissioni di Cossiga, conseguenti al sequestro Moro. 53

Giulio (tr. Silfer): la scrittrice fu candidata a Milano per il Partito Repubblicano Italiano, dove militava anche Silfer e i due fecero anche una parte della campagna elettorale insieme. Ancora, Pisoni traduce da Cardarelli, da Leopardi (A Silvia), da Ungaretti (I fiumi); Waringhien recupera e aggiorna una vecchia traduzione di una novella di Boccaccio fatta ancora prima della guerra. Nel quarto numero di Literatura Foiro, aumentato a 20 pagine, compare l'annuncio di un premio assegnato ad un italiano, Luigi Malerba. Originario di Parma, ma residente a Roma da vent'anni, Malerba ha collaborato con Moravia e il regista Spaak (padre dell'attrice Catherine Spaak e fratello di un primo ministro belga162); nel 1970 è vincitore del Prix Médicis, assegnato al suo Salto mortale come l'opera più significativa tradotta in francese in quell'anno. È scrittore, critico, sceneggiatore (nel 1992 vincerà il Premio Viareggio); tende al recupero dei dialetti italiani ed è fortemente interessato a problemi linguistici. Malerba in gioventù aveva scritto in esperanto Babelo (Babele), un atto unico incentrato sul problema dell'incomprensione internazionale per via della lingua, e riporta questo fatto con orgoglio nelle sue biografie163. Literatura Foiro continua a bandire concorsi letterari che hanno una partecipazione internazionale molto qualificata, e le cui premiazioni avvengono durante una serata che si svolge nei congressi nazionali. È così garantita una costante presenza della Pattuglia in seno alle manifestazioni istituzionali, utile ad accrescere la notorietà del gruppo; simmetricamente, il congresso della FEI riceve adesioni anche dall'estero ed accresce la sua qualifica di manifestazione culturale. Nel 1970 escono a Roma, stampati in proprio, opuscoli autonomi: Thallusa (poema latino di Pascoli), I sepolcri del Foscolo (poema completo) e Eta bukedo (Piccolo mazzolino) di Lydia Senes, tradotti da L. Minnaja. E proprio alla morte di quest'ultimo nel 1974 compare su Literatura Foiro un commosso omaggio al "bravo ragazzo del '99", sostenitore della rivista da subito e le cui traduzioni erano comparse già nel primo numero. Un altro commosso omaggio appare l'anno successivo per la morte di Bruno Migliorini164, uno dei tre esperantisti membri dell'Accademia dei Lincei (ove rimanevano il fratello Elio, geografo, e Alessandro Bausani, orientalista). L'anno dopo, nel 1976, ottantaquattrenne, muore Kalocsay, lasciando un grosso fascio di traduzioni anche dall'italiano. Scompaiono quindi, nell'arco di due anni, tre personalità che, pur a livelli diversi, avevano molto operato nel campo della traduzione dall'italiano e della cultura esperantista in generale. 4.3 Tre idee vecchie che diventano nuove Nel frattempo vengono riprese, sia pure molto lentamente, tre vecchie idee. Bisogna condurre in porto il vocabolario iniziato da Stefano La Colla e la cui uscita a breve era stata annunciata 162

Paul-Henry-Charles Spaak (1899 - 1972) fu deputato socialista prima della guerra, ministro del governo belga in esilio durante l'occupazione tedesca, quindi primo ministro e segretario generale della NATO. Fu tra i fondatori della Comunità Europea e fautore di una politica europea filo-atlantica. 163 In realtà, nella redazione esperanto fu fortemente aiutato dal suo amico prof. Gugliemo Capacchi, per cui Babelo dovrebbe essere considerata più una traduzione da un manoscritto in italiano che un'opera originale in esperanto. 164 La produzione in esperanto di Bruno Migliorini è assai vasta, ma ancora non ne esiste una raccolta completa né un'edizione critica. Nel decimo anniversario della morte è uscita una piccola pubblicazione con i testi di sette conferenze e saggi: B. Migliorini, Lingvaj aspektoj de Esperanto (Aspetti linguistici dell'Esperanto), Edistudio, Pisa, 1985. 54

nel 1955. I dizionarietti editi da Paolet, nella maggior parte riedizioni di un vocabolario di Grazzini, non bastano più, la lingua si è evoluta, i traduttori richiedono dizionari che non siano semplicemente tascabili. Il La Colla, deceduto nel 1966, ha lasciato oltre mille pagine in parte dattilografate, in parte scritte a mano, con appunti sovrascritti, compilate secondo un criterio di venti anni prima: l'esperanto, se vuole confrontarsi con le altre lingue insegnate nelle scuole, ha bisogno di strumenti didattici adeguati. Prima di completare quel manoscritto, bisogna innanzi tutto acquisirlo: lo ha ereditato il fratello Nicolò La Colla, che abbiamo già incontrato come redattore della rivista Esperanto a partire dal 1932. C'è poi da verificare se l'impostazione è ancora accettabile, e quindi eventualmente completarlo o considerare l'idea di una struttura totalmente nuova. Il problema non è di facile soluzione perché il movimento, dopo il ritiro di Bruno Migliorini, non dispone di specifici vocabolaristi esperti, pur essendoci varie persone di buona competenza. La seconda azione è il togliere dalle secche l'Antologia italiana: se è vero che il comitato di redazione ha scelto di accettare anche traduzioni antiquate considerandone il valore storico, non è un buon motivo per lasciar invecchiare anche quelle che erano moderne venti anni prima. Kalocsay ha lasciato traduzioni, ci sono altri traduttori bravi e volonterosi, bisogna concludere. Dietro a quella antologia c'è già stato tanto lavoro, sarebbe assurdo lasciar naufragare tutto; erano nel frattempo uscite le antologie inglese, slovacca, scozzese e altre raccolte giapponesi, cinesi e da altre lingue; quella italiana rischiava di restare proprio l'ultima. La terza considerazione fu che non ci si può presentare con un'antologia di letteratura italiana che si fermi agli inizi del secolo XX e tralasci i poeti strettamente contemporanei: se ci sono diritti d'autore da corrispondere si troverà il modo per onorarli. C'è da fare una ricognizione su cosa esiste, eventualmente sfruttando i testi delle trasmissioni di Radio Roma, mai finora pubblicati in maniera organica, e su cosa va tradotto ancora. Il primo problema ha un avvio positivo: la vedova di Stefano La Colla, Averina Sforza La Colla, acquisisce in proprio il manoscritto e con splendida generosità lo cede alla FEI senza esigere nessun compenso. Nel 1970 viene affidata a chi scrive la verifica dello stato dei fogli del manoscritto con eventualmente il compito di integrarli e di portare l'opera a compimento. Il secondo problema, riguardante l'Antologia italiana, è ancora gestito da Giordano Azzi, che nel frattempo ha portato avanti la revisione e l'integrazione dei testi fino al 1975, aiutato da Clelia Conterno e dall'autore di queste pagine. Si tratta di arrivare allo stadio di completezza che consenta di portare l'opera in tipografia. Il terzo problema è preso in considerazione dalla Pattuglia, che, nella sua seduta dell'8 dicembre 1974 affida a chi scrive il compito di esplorare i manoscritti in parte già utilizzati per le trasmissioni radio, e vedere se possono costituire un nucleo di un'antologia di poeti italiani del Novecento. La seconda parte del decennio appare dunque con un ricco programma di attività, forse eccessivo per le scarse forze di cui dispongono sia la Pattuglia sia l'Esperantia italiana. Inoltre comincia a sentirsi qualche scricchiolio: lo spostamento in Finlandia di Silfer e della redazione di Literatura Foiro causa da una parte una sprovincializzazione della rivista e una sua apertura ad altri orizzonti, ma dall'altra rende meno stretta la collaborazione tra i membri della Pattuglia; le riunioni si continuano a tenere, i piani triennali di attività si continuano a predisporre, ma il costante contatto di un tempo è un po' appannato. La rivista continua ad essere organo della Pattuglia, che però di fatto non ne ha più il pieno controllo. Compaiono ancora traduzioni: da Michelangelo (tr. Waringhien), dal Poliziano (tr. Kalocsay, dalle carte postume) e una sorpresa: La nomina del capelan di Carlo Porta (tr. Pisoni). Pisoni è 55

nato a Oleggio, tra Piemonte e Lombardia, si è avvicinato alla poesia dialettale con Di Giacomo, e nella sua panoramica a tutto campo ritorna al suo dialetto di origine. La contessa Paola Travasa e la sua cagna Lila ci portano nei primi anni della Restaurazione postnapoleonica; le sestine sono ben rimate, la traduzione si gusta con facilità. E ancora il Porta di La preghiera (tr. Pisoni) ci presenta un'altra nobile dama: Donna Fabia Fabron de Fabrian. La Pattuglia non guarda solo al panorama letterario italiano, ma anche alla letteratura originale esperanto, dove Rossi, Silfer e Gimelli pubblicano poesie e libri a sé stanti165. Nascono anche i corsi universitari estivi in esperanto a Liegi, dove Silfer insegna166; c'è una grande attività e nascono nuovi talenti che si rivelano attraverso i concorsi organizzati dalla Pattuglia in collaborazione con enti locali. Si è rivelato Giulio Cappa, uno studente romano, poi redattore presso la RAI ad Aosta, si rivela Mauro Nervi167, attualmente una delle voci più alte della poesia originale, studente di medicina e poi chirurgo a Pisa. Le recensioni continuano ad essere una parte importante della rivista, e ancora Carlo Minnaja, Clelia Conterno e Silfer sono recensori frequenti, ma certamente non più gli unici. Il parco dei collaboratori si è fortemente ampliato. Nel 1979 appare, sotto la forma di un libretto didattico per la preparazione agli esami di terzo grado di conoscenza della lingua, un piccola antologia168. Si tratta di testi con successiva traduzione guidata: vi sono commenti grammaticali, possibili alternative, spiegazioni delle sfumature che si ottengono tramite una o l'altra traduzione, avvertimenti contro trabocchetti o "falsi amici". Compaiono brani di vario registro, da semplici frasi ad articoli di giornale, da note di divulgazione scientifica a testi turistici. Non mancano pezzi letterari: alcuni brani del Manzoni (Padre Cristoforo, Il cardinale Federigo, Don Abbondio, Addio, monti), di Natalia Ginzburg, di Piero Chiara, Calvino, Gozzano, Leopardi (dal Dialogo di Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez), D'Annunzio (Il canto dell'usignolo da L'innocente). L'importanza dell'opuscolo non è tanto nella traduzione dei 35 brani, quanto nell'analisi degli stessi ai fini della migliore traduzione e nel confronto tra possibili traduzioni diverse. In particolare, il brano del D'Annunzio propone problemi di traduzione di soluzione tutt'altro che facile. Nel 1979 esce anche, in Svizzera, una antologia "simmetrica", cioè di poeti esperanto tradotti in Italiano169. Ne è autore il poeta e uomo politico ticinese Dante Bertolini (1911 - 1998), che, avvicinatosi da non molto all'esperanto, vi ha scoperto delle gemme sconosciute: Ora, uno solo è il mio scopo: provare agli scettici di lingua italiana che la poesia originale in Esperanto è già meravigliosamente florida. Non solo: spesso, è già una chiara fonte di pure bellezze spirituali.

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N. Rossi, Sur la vivopado (Sul sentiero della vita), LF-koop, 1980; ampia recensione di A. de' Giorgi in L'esperanto, 5, 1982, pp.12-14. G. Silfer, Desislava ridetas (Desislava sorride), LF-koop, 1987. G. Silfer, La spegulo de Velodajo (Lo specchio di Velodajo), LF-koop, 1990. 166 Quei corsi furono un primo nucleo dell'attuazione di un'università la cui lingua di insegnamento è l'esperanto. Attualmente è funzionante la Akademio Internacia de la Sciencoj (Accademia Internazionale delle Scienze) con sede giuridica a San Marino, ma itinerante in diverse sedi europee, nella quale si possono studiare alcune materie tramite corsi in larga parte in esperanto e conseguire i titoli universitari connessi. 167 M. Nervi (1959 -) pubblica a diciannove anni La turoj de l' ĉefurbo (Le torri della capitale, Manĉestro, 1978), una raccolta di poesie, novelle e lavori teatrali. Sue traduzioni sono da M. Caprile, Blinda ermito (Eremita cieco), Edistudio, 1979 (poesie), e da Lydia Melodia, Niaj fabeloj (Le nostre favole), Eirene, 1980 (racconti per bambini). 168 C. Minnaja, Proposte, Istituto Italiano di Esperanto, 1979. 169 D. Bertolini, Dal nuovo giardino, Pedrazzini, Locarno, 1979. 56

Si tratta di 26 poesie di 10 autori, scelte quasi a caso, pubblicate con testo originale a fronte in occasione del congresso della Lega Internazionale degli Insegnanti Esperantisti, svoltosi a Locarno. È il primo esperimento del genere per l'italiano (dall'esperanto in altre lingue c'erano già state varie traduzioni poetiche). La presentazione è di Tazio Carlevaro, membro della Pattuglia. Seguiranno, vari anni dopo, una più solida e convinta raccolta dello stesso autore170 e un volume molto rappresentativo di poesia e prosa fantascientifica171. Quest'ultimo, curato da Giulio Cappa, è veramente un'ottima antologia della letteratura esperanto di quel genere in versione italiana. Nella seduta del 29 dicembre 1979 la Pattuglia si scioglie. Contestualmente viene approvato lo statuto della Cooperativa di Literatura Foiro (LF-koop), che diventa proprietaria della testata; la sede della cooperativa e della redazione della rivista vengono fissate a La Chaux-deFonds, nella Svizzera francese. Il gruppo aveva esaurito il suo compito. L'esperantismo italiano aveva ripreso vigore, si era creata una "scuola italiana", la rivista viveva oramai da dieci anni e si avviava a diventare la rivista letteraria di maggior durata di tutta la storia della lingua172, l'editoria nel nostro paese aveva ripreso slancio pubblicando libri originali dei membri della Pattuglia, erano stati istituiti concorsi e premi per stimolare la produzione letteraria. Inoltre, come abbiamo visto, era nato il settore librario di Literatura Foiro, che si configurerà come casa editrice proprio con la costituzione della cooperativa secondo il codice svizzero. Tale settore librario aveva già sondato il mercato con buon esito: di particolare successo era stata la già citata riedizione dell'Inferno nella traduzione di Kalocsay, con l'aggiunta di un saggio di Waringhien173. La Svizzera, in particolare quella italiana, diventa un centro di attività assai visibile. Nel 1981 nasce Lombarda esperantisto, proprietà comune della cooperativa Literatura Foiro e della Lega Esperantista Ticinese; nonostante la veste dimessa (è una modesta rivistina ciclostilata di 16 pagine), essa si qualifica, e non a torto, "periodico regionale a carattere internazionale", e fonde, in un crogiolo esperantista, la cultura di lingua italiana che si sviluppa da entrambi i lati del confine di Chiasso. Compaiono recensioni, articoli, saggi storici di notevole spessore; le firme più frequenti sono di Silfer e Carlevaro. Per migliorare l'immagine dell'esperanto nelle regioni di lingua italiana viene fondato a Milano il Centro Italiano di Interlinguistica e presidenti onorari ne sono i due accademici lincei Elio Migliorini e Alessandro Bausani. La cooperativa pubblicherà presto anche un periodico, Planlingvistiko (La scienza delle lingue pianificate) che acquisisce collaborazioni prestigiose da più parti. La Pattuglia dunque si scioglie; resta la ferma solidarietà di gruppo, e soprattutto restano ancora dei lavori da portare a termine, nei quali i membri del collettivo erano a vario titolo coinvolti. Una nuova possibilità di pubblicazione per autori italiani si ha con la nascita nel 1980 in Brasile di un'altra rivista esclusivamente letteraria di notevole consistenza, Fonto174 (Sorgente), che fa da contraltare a Literatura foiro ed è diretta da W. Auld, il pilastro più solido della cultura esperantista dopo la morte di Kalocsay. Subito vi pubblicano pezzi originali Lina Gabrielli, de' Giorgi, Nervi, Clelia Conterno, Gimelli; compaiono un brano dal 170

D. Bertolini, In quest'era omicida, Pedrazzini, Locarno, 1987. Sono 55 poesie, con commenti critici riguardanti la tecnica di traduzione. 171 G. Cappa (a cura di), La lingua fantastica, Keltia, Aosta, 1994. 172 Alla data del gennaio 2006 Literatura Foiro raggiunge il suo trentasettesimo anno e il numero 218; è la rivista letteraria di più lunga vita. 173 D. Alighieri, Infero, Librofako de Literatura Foiro, La Chaux-de-Fonds/Milano, 1979. 174 La cadenza è mensile; dura tutt'oggi, arrivata al n. 301 nel gennaio 2006. 57

Manzoni (La notte dell'Innominato) e l'intero Dialogo tra Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez (tr. C. Minnaja); quindi un sonetto di Michelangelo (tr. W. Pilger); compaiono traduzioni di Giulio Cappa da Borges, da Saba (A un giovane comunista, La capra, A mia moglie), da Ciro di Pers (tre sonetti); traduzioni di de' Giorgi da Montale (Meriggiare pallido e assorto), da Ungaretti, Quasimodo (Ed è subito sera), Pascoli (Novembre) e Prévert. La letteratura italiana è quindi ben rappresentata anche dall'altra parte dell'Atlantico. Non di letteratura solamente, ma anche di letteratura si occupa un periodico tutt'altro che stereotipo: La kancerkliniko (La clinica del cancro). Frutto di idee libertarie di un postsessantottismo ritardato, un terzetto di francesi175 lancia nel 1977 questa rivista anticonformista, senza tabù, smitizzante, dissacrante, senza ipocrisie. E ad essa contribuiscono, dopo un primo periodo di cauta osservazione a distanza, ancora i protagonisti della cultura esperantista italiana: Corsetti, Cappa, Nervi, de' Giorgi (con Natale di Ungaretti). La rivista della Federazione Esperantista Italiana, l'esperanto, pubblica più per il movimento organizzato che non per gli amanti della letteratura; non mancano però alcune belle traduzioni, come Alla sera del Foscolo (tr. G. Roattino).

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Ĵak Le Puil, Jopetro Danvy e Laŭrenco Septier (gli autori si presentano con questi nomi esperantizzati). 58

Capitolo V GLI ULTIMI GRANDI LAVORI 5.1 Si ripensa all'Antologia italiana Una ricognizione effettuata da Azzi nel 1975 aveva valutato che quello che mancava per condurre alla stampa la Itala antologio non era molto. I medaglioni erano stati fatti, la scelta quasi definitiva dei brani anche; mancavano invece le risorse economiche per l'edizione da parte della FEI. Nel frattempo erano cambiate le leggi finanziarie in Italia, e quindi era dubbio che un Ente Morale, come era la FEI, potesse editare una pubblicazione che sarebbe stata messa in vendita secondo i normali circuiti commerciali. Si intrecciava (e si ostacolava!) con questo disegno il fatto che era in fase di redazione anche il vocabolario iniziato da Stefano La Colla, la cui revisione, affidata a chi scrive, procedeva con estrema lentezza. La lentezza era dovuta, oltre ai naturali impegni che occupavano il revisore, alla constatazione che le pur molte pagine lasciate dal La Colla non erano minimamente in uno stadio vicino alla pubblicabilità, e che anche la prima parte già uscita in dispense, fino alla lettera C, non era più adeguata alla produzione di un vocabolario secondo le aspettative del momento. Il revisore cominciò del tutto da capo il lavoro di compilazione, utilizzando schede scritte a mano e servendosi soltanto sporadicamente del manoscritto e della parte già uscita a stampa. Il movimento esperantista italiano riteneva prioritaria l'uscita del vocabolario; nel frattempo, alla fine degli anni Settanta si era costituita autonomamente, staccata dalla FEI, la Cooperativa Editoriale Esperanto (CoEdEs) il cui fine principale era proprio la pubblicazione del vocabolario, oltre che l'introduzione delle pubblicazioni in esperanto nel normale circuito delle librerie. Le somme reperite per costituire la cooperativa avevano quindi un fine prioritario ben preciso, e il consiglio di amministrazione della CoEdEs non si sentiva moralmente autorizzato a metterle a disposizione per finanziare un'altra opera, ancorché importante anch'essa. A rallentare il lavoro per il vocabolario, che bloccava quindi la disponibilità di risorse per l'Antologia, intervennero poi diversi fattori. Il primo fu che nel 1970 era uscito un nuovo vocabolario illustrato in esperanto con definizioni in esperanto176, che divenne subito il testo di base a cui qualsiasi altro dizionario avrebbe dovuto rapportarsi. Il manoscritto del La Colla si era basato invece sul già citato Plena Vortaro, fondamentale per la sua epoca, ma uscito nel 1930 con seconda edizione ampliata nel 1934, a cui peraltro anche lui aveva collaborato177. Erano inoltre cambiati i criteri con cui si proponevano le lingue nella scuola italiana, basati assai più sugli esempi che sulle strutture grammaticali, per cui era necessario ampliare le frasi 176

G. Waringhien, Plena Ilustrita Vortaro de Esperanto, Sennacieca Asocio Tutmonda, Parigi, 1970; edizioni successive via via ampliate sono apparse nel 1976, 1981, 1987. Una nuova redazione, sotto la direzione di Michel Duc-Goninaz e sotto il titolo La nova Plena Ilustrita Vortaro de Esperanto, è apparsa presso la stessa casa editrice nel 2002. 177 E. Grosjean-Maupin, A. Esselin, S. Grenkamp-Kornfeld, G. Waringhien, Plena Vortaro de Esperanto, Sennacieca Asocio Tutmonda, Parigi, 1930 (2a ed. 1934). Tra i collaboratori vengono menzionati B. Migliorini, La Colla e Mazzolini. La terza edizione, del 1953, manteneva intatta la precedente, ma portava un "Supplemento" a cura di Waringhien, nel quale figurava un certo numero di vocaboli nel frattempo entrati nella lingua. 59

tratte dai discorsi correnti. Terzo elemento: era cambiato il modo di proporre un vocabolario, modernamente assai più attento alla distinzione formale tra i vari significati di una stessa voce, indicati con dei sinonimi esplicativi messi tra parentesi. L'opera del La Colla era veramente quasi del tutto inutilizzabile e il lavoro sul suo manoscritto, ricominciato da quasi zero, si prospettava dunque di lunga durata e rimandava sine die la pubblicazione dell'Antologia. 5.2 L'eredità di Kalocsay Nel frattempo anche in campo letterario accadevano alcuni eventi importanti. I manoscritti lasciati da Kalocsay erano stati subito affidati ad un ottimo curatore, l'ungherese Vilmos Benczik, anch'egli docente universitario, il quale nel 1981 pubblicava la più grossa antologia poetica mai apparsa in esperanto. Essa conteneva tutte le traduzioni di Kalocsay da tutte le lingue, di sole poesie già pubblicate o ancora manoscritte (non di lunghi poemi, di cui comparivano eventualmente frammenti), salvo quelle dall'ungherese e dal tedesco, che erano così tante da aver prodotto interi volumi autonomi; di queste fu fatta una scelta. Il progetto di Kalocsay quando era in vita era tuttavia ancora più ambizioso: pubblicare una grandiosa antologia poetica di parecchi volumi che raccogliesse, selezionato ed opportunamente rivisto, tutto il materiale tradotto in esperanto da qualsiasi lingua anche da altri traduttori. Estremamente prolifico, Kalocsay non era tuttavia un attento custode né dei manoscritti suoi né di quelli altrui che gli arrivavano per essere sottoposti a revisione o per la pubblicazione sulle riviste in cui lui era coinvolto come redattore; inoltre con l'età non era più sicuro, in mezzo a molti fogli, di cosa fosse suo e cosa fosse invece di altri, magari adattato o migliorato da lui; non era neppure sempre sicuro di riconoscere i propri pseudonimi (ad esempio la sigla y fu usata come pseudonimo, oltre che da lui, anche da altri autori). Il curatore quindi si trovò a dover scegliere tra tanti fogli sparsi e si limitò a pubblicare soltanto le traduzioni certamente di Kalocsay. Non fu facile neanche questo, in quanto, ad esempio, tra le carte furono trovate più varianti della stessa traduzione, e fu talvolta arduo riconoscere quale fosse l'ultima. Il titolo che Kalocsay aveva scelto per il suo colossale progetto era Tutmonda sonoro (Sonorità da tutto il mondo), e tale titolo fu mantenuto anche per questa realizzazione più limitata. E giustamente: si trattava pur sempre di 532 poesie di 74 poeti di 30 lingue diverse178. Quasi la metà, 230 poesie, erano tradotte da lingue antiche, dai testi di Gilgameŝ al latino di Rutilio Namaziano. L'opera in due volumi è meritatamente inserita nella serie "Oriente - Occidente" dell'Unesco. L'antologia precedente di Kalocsay, Eterna bukedo, uscita cinquant'anni prima, era stato un piccolo nucleo di quanto ora veniva presentato. Quasi nessuna poesia dell'antologia precedente era rimasta senza ritocco; Kalocsay era un perfezionista e diceva: "se dopo la pubblicazione ho trovato soluzioni migliori, perché non pubblicare una versione più aggiornata?"179 Venivano così "gettate sul mercato" 58 poesie dall'italiano, di diciotto autori, delle quali 13 di tre autori ticinesi. Ciò comportò un ulteriore ripensamento tra i redattori dell'Antologia italiana, che preferirono rivedere qualche scelta per non ripubblicare traduzioni appena uscite. Azzi, che aveva tenuto i contatti con Benczik per la redazione delle poesie italiane di 178

Ci vorrebbero molti altri dati per fare paragoni con altre antologie; tuttavia chi scrive queste pagine ritiene assai poco probabile che in altre lingue vi siano opere di così largo spettro tradotte da un poeta solo, e ritiene che la produzione letteraria di Kalocsay in esperanto sia tra le più ampie e alte in senso assoluto della letteratura mondiale, dovendosi anche considerare le sue traduzioni di interi poemi di migliaia di versi ciascuno, che non hanno posto in Tutmonda sonoro, se non con brevi frammenti, il più lungo dei quali è comunque di oltre 500 versi. 179 Un pregevole saggio su quest'opera è apparso a firma di G. Pisoni in Literatura Foiro, 74, 1982, pp. 18-21. 60

Tutmonda sonoro, si trovò a dover cambiare ancora qualcosa. Ma i tempi non erano ancora maturi per la pubblicazione, che doveva sempre lasciare la precedenza al vocabolario. E tuttavia il Kalocsay traduttore dall'italiano non era ancora tutto in Tutmonda sonoro; in Literatura Foiro del febbraio 1981 esce Si fossi foco dell'Angiolieri, forse ritrovato più tardi tra le carte postume. Il livello delle traduzioni può essere diverso, e vi sono vari interventi di Silfer su Literatura Foiro del 1981/1982 sullo scopo e sulla bontà delle traduzioni, specie in esperanto, lingua che avendo come fine la facilitazione della reciproca conoscenza tra popoli diversi ha sempre dedicato particolare cura alle traduzioni. Compaiono180, affrontate, due traduzioni del Trionfo di Bacco e Arianna, una di Kalocsay e una di Pisoni181, che sfruttano in maniera diversa le potenzialità dell'esperanto: Kalocsay è più classico, più ritmico, ma Pisoni, liberandosi di certi rigorismi, coglie alcuni dettagli a cui Kalocsay rinuncia. 5.3 Da Goldoni a Belli, da Pavese a Tomizza Le pubblicazioni autonome appaiono un po' a caso, senza una pianificazione. Chi scrive queste pagine, avendo preso su di sé il compito di condurre in porto il vocabolario di La Colla, cerca delle "esercitazioni" della lingua letteraria parlata su cui testare le traduzioni da inserire nel vocabolario, e pertanto comincia ad interessarsi di traduzioni di opere teatrali. La sua passione per Goldoni era di vecchia data, trasmessagli dalla madre veneziana che leggeva in dialetto le commedie ai figli perché apprezzassero, pur vivendo a Roma, la dolcezza e l'espressività della lingua della Serenissima. Come esercizio nella lingua letteraria parlata fu scelto di tradurre La locandiera182, anche per l'indubbia popolarità della figura di Mirandolina all'estero. La critica non fu uniformemente benevola con il libro: chi apprezzò la scorrevolezza dei dialoghi183 e la ritenne estremamente adatta alla rappresentazione scenica, chi invece ritenne che Goldoni non meritasse di essere tradotto, e non apprezzò espressioni del linguaggio familiare, ritenendole di comprensibilità non immediata184. Certamente nella presentazione ad un pubblico internazionale Goldoni non ha la stessa presa che ha (o, fino ad alcuni decenni fa, aveva) in Italia, e questo è un problema in più che il traduttore in esperanto deve affrontare: chi traduce in una lingua etnica si propone ad un pubblico di lettori con caratteristiche linguisticamente e storicamente definite e conosciute, chi traduce in esperanto ha una platea più limitata nel numero ma certamente più vasta come sottofondo culturale e come parametri di giudizio. Nel 1982 escono due libretti, dei quali era comparso qualche assaggio nei numeri di Literatura Foiro: una scelta di sonetti del Belli185 e le poesie di Pavese dal 1945 alla morte186. I due traduttori, Pisoni e C. Minnaja rispettivamente, evidenziano gusti fortemente diversi: Pisoni rincorre lo spirito lugubremente canzonatorio del Belli, sceglie sonetti che muovono al riso, ma hanno un sottofondo cupo, di plebe sconfitta. Lo studio filologico del traduttore si esprime con una fedeltà assoluta al testo e con rime mai piatte, spesso costruite con molta arte.

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Literatura Foiro, 71, 1982, pp. 1-3. Ne esiste (almeno) una terza di E. Dondi, in manoscritto. 182 C. Goldoni (tr. C. Minnaja), La gastejestrino, Edistudio, Pisa, 1981. 183 Vd. la recensione di Anton Dega, in "L'esperanto", 4, 1982, pp. 14-15. 184 Traduzioni della Locandiera esistono in parecchie lingue; la versione in esperanto è stata messa in scena più volte con successo, in particolare da una compagnia bulgara. 185 G. G. Belli, Elektitaj sonetoj (tr. G. Pisoni), CoEdEs, Milano, 1982. 186 C. Pavese, Poemoj (tr. C. Minnaja), LF-koop, La Chaux-des-Fonds, 1982. 181

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Pisoni è appassionato dei dialetti: ha tradotto Di Giacomo, Porta, Belli, tradurrà Pascarella187. Gli è vicino, per garantire la fedeltà al testo, un abitante della campagna romana, Renato Corsetti188. Si tratta di 55 sonetti, e il libretto coglie nel segno. Una recensione189 dice: Pisoni ricalca in Esperanto gli originali con grande bravura. Le traduzioni rispecchiano esattamente la metrica originale, cosicché il lettore non deve neppure rinunciare a giochi di parole e allusioni sottili. […] Per far capire meglio allusioni e contesto, il traduttore ha glossato abbondantemente quasi ogni sonetto […] aprendo il mondo del Belli anche ai non italiani. La traduzione dimostra che il carattere monodialettale dell'Esperanto non impedisce l'esistenza e l'utilizzazione di vari livelli di stile, compreso lo slang.

Un'altra recensione190 sostiene la tesi che il Pisoni traduce non da un dialetto, ma da una lingua a sé stante, quella dei popolani romani, e che è capace di trasfonderne benissimo lo spirito. Tuttavia vengono fatte critiche al ritmo, che rompe quello classico esperanto nella prima sillaba del verso, solitamente non accentata. Di tutt'altra opinione è invece Carlo Agostini191, che sostiene che l'aver mantenuto il metro con gli accenti come in italiano è un pregio del traduttore, non un difetto. Si scontrano qui la scuola rigorista dello Ŝulco, legata alla metrica tedesca spesso seguita dallo Zamenhof e dai poeti dei primi anni, e una scuola maggiormente libera, quale quella sostenuta dall'Agostini, che segue una maturazione successiva della metrica esperanto. Se Pisoni è già largamente esperto nella traduzione di poesie, i versi di Pavese sono invece il primo esercizio dell'autore di queste pagine come traduttore di versi. Si tratta di 21 componimenti poetici (due sono in inglese), piuttosto brevi, gli ultimi dei 125 che compaiono nell'edizione completa delle poesie di Pavese192: le due raccolte La terra e la morte e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, e Due poesie a T.. Pavese non è particolarmente apprezzato come poeta, per quanto gli alti e bassi della critica riservino ai suoi versi anche qualche sporadico momento di successo. La scelta di tradurre Pavese da parte di chi scrive avviene di riflesso, attraverso la passione della moglie193. La traduzione deve superare due situazioni contrastanti: i frequenti enjembements tra sostantivo e aggettivo, tipici dell'ultimo Pavese, e invece altri versi compatti, che chiudono un mondo in poche parole. La ripetizione dei vocaboli e dei concetti in poesie diverse rende la raccolta dell'ultimo periodo un tutto unico, quasi un poema solo, e il traduttore ha cercato di trasmettere questa unità. Una difficoltà è sorta anche per il numero notevole di fusioni tra vocali e di dittonghi, che in esperanto non esistono: il traduttore ha cercato di riprodurne l'effetto con un uguale numero di elisioni. A parte una recensione, lusinghiera, fatta da un italiano194, il libretto non ha purtroppo avuto altre menzioni, mentre sarebbe stato interessante vedere come all'estero veniva accolto questo Pavese minore. 187

C. Pascarella, La malkovro de Ameriko (La scoperta dell'America, tr. G. Pisoni, C. Minnaja, R. Corsetti) in "Literatura Foiro", 23, 140, 1992, pp. 303-319. 188 Renato Corsetti (1941 - ), già funzionario di un istituto di credito, è docente di psicolinguistica all'università di Roma. Ha tradotto varie cose e ha spesso collaborato con altri traduttori. Attualmente presidente dell'Associazione Mondiale di Esperanto e membro dell'Accademia. 189 Scritta da Martin Haase, in Esperanto, 940, 1984, pp. 73-74. 190 Ad opera di Rikardo Ŝulco (leggasi: Sciulzo, esperantizzazione del nome tedesco Richard Schultz, sempre usata dall'autore), in L'esperanto, 7/8, 1983, pp. 14-15. 191 In L'esperanto, 1/2, 1984, pp. 28-29. 192 C. Pavese, Poesie edite e inedite, a cura di I. Calvino, Einaudi, 1962. 193 Luisella Sergiampietri (1939 - 1982), allieva della Scuola Normale Superiore, docente di italiano e latino nei licei. Come studentessa liceale fu medaglia d'oro, prima in tutta Europa, nel primo concorso della Giornata Europea della Scuola (1958). A lei, indicata semplicemente con "L.", è dedicato il libro in questione. 194 Giulio Cappa, in Literatura Foiro, 75, 1982, p. 23. 62

Il 1983 propone una realizzazione non comune: il già citato atto unico di Luigi Malerba, Babelo, viene interpretato da tre voci nella prima Gazzetta sonora prodotta da LF-koop, la cooperativa formatasi all'atto di scioglimento della Pattuglia. La Gazzetta sonora è una cassetta audio, con incise varie cose: serate, interviste, musiche. Nella sua seconda facciata si ha appunto la presentazione di Babelo. I poeti italiani continuano a fornire qualche presenza su Literatura Foiro: a Saba sono dedicate alcune pagine nel 1983, con traduzioni di Pisoni e una presentazione di Perla Martinelli; quest'ultima, partendo da ruoli in ombra come aiutante, segretaria, grafica, collaboratrice va assumendo un ruolo di primissimo piano come redattore, traduttore, critico letterario. Si va ampliando dunque un certo corpus consistente di poesie del Novecento, in vista di quella antologia poetica che era uno dei lavori rimasti da fare allo scioglimento della Pattuglia. Ci sono ancora traduzioni da Govoni (L. Minnaja), Moretti, Carducci (tr. Pisoni), Montale; in occasione della morte di Calvino, Perla Martinelli ne traduce un racconto. Qualche altra poesia trova spazio in altre riviste, come La canzone di Piccolino e La Santa Notte di Gozzano (tr. C. Minnaja), o La madre di Ungaretti (tr. Pisoni) che vengono pubblicate su Espero katolika (Speranza cattolica), la più longeva rivista in esperanto che dura ininterrottamente dal 1903. Non unicamente il gruppo di Literatura Foiro produce traduzioni: esce in giugno 1983 a Venezia la traduzione di La madre, un romanzo di Grazia Deledda pubblicato nel 1920. Il traduttore è Giuseppe Lacertosa, un attivo preside di Albano Laziale, autore di un romanzo e libri didattici, tra i primi sperimentatori del tempo pieno scolastico. Purtroppo l'edizione è troppo frettolosa, nessuno riguarda il manoscritto, e il risultato onestamente non è da raccomandarsi dal punto di vista linguistico. Italianismi di tutti i generi e vere e proprie sviste grammaticali avrebbero potuto essere eliminati con una revisione fatta da persona più esperta. In tale modo si rimanda la possibilità che la Deledda trovi un suo posto dignitoso nel panorama della letteratura tradotta in esperanto. Un vero peccato, perché il romanzo mette coraggiosamente a nudo i contrasti tra due generazioni, glorifica la soluzione religiosa, e propone commoventi dialoghi interiori dei singoli personaggi: tutte qualità che una buona traduzione avrebbe fatto apprezzare ad un pubblico internazionale. Un altro capolavoro, questa volta in veste degnissima, esce nel 1983: Materada di Fulvio Tomizza (tr. Pier Giorgio Soranzo, Edistudio, Pisa). È il primo dei tre romanzi, pubblicato nel 1960, che costituiscono la Trilogia istriana. Dopo di questo Tomizza ha scritto parecchi altri libri, sempre testimone di questa vita alterna di allontanamenti e ritorni che a Materada dura da secoli. La sua opera La miglior vita ha avuto il premio della letteratura europea del governo austriaco, premio assegnato a opere che rafforzino la coscienza europea195. Tomizza è uno "scrittore di frontiera", abita in una zona dove i popoli e le lingue si sono sempre mescolati; la versione esperanto viene presentata ufficialmente, con eco sulla stampa sia italiana che slovena, a Trieste196 e a Gorizia197, con la presenza dell'autore e del traduttore, il pluripremiato Pier Giorgio Soranzo. I due si conoscono da vecchia data, sono stati compagni di studi al collegio "Don Bosco" di Gorizia. La traduzione è magistrale, Tomizza usa un impasto di proverbi, frasi idiomatiche, espressioni dialettali, e Soranzo ne esce benissimo. In un'intervista successiva, condotta proprio dal traduttore198, Tomizza si dichiara sorpreso e commosso che 195

Soltanto un altro italiano, Italo Calvino, aveva ricevuto questo premio in precedenza. Al Circolo della Stampa, il 29 novembre 1983. 197 Il 10 dicempre 1983, con la presenza dal sindaco Antonio Scarano. 198 Vd. Literatura Foiro, 88, 1984, pp. 13-17. 196

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gli avvenimenti drammatici vissuti dai fratelli Coslovich del suo romanzo siano conosciuti in Cina, Senegal, le due Coree, Perù tramite l'esperanto, mentre c'è voluto molto perché uscisse la traduzione in tedesco, e nota un vero muro per traduzioni in francese. Quando Soranzo gli traduce le recensioni della versione esperanto, scritte da una croata, un cecoslovacco, un tedesco dell'est e un inglese risponde: Mi limito ad esprimere la mia gioia perché mi è stato possibile essere letto in maniera chiara e comprensibile in esperanto, nonostante il testo particolarmente complesso. Questo non accade sempre con i lettori e critici italiani. […] Mi auguro un successo spontaneo della lingua internazionale che sostituisca quella maggiormente usata adesso, perché quest'ultima privilegia troppo un popolo, una cultura e, soprattutto, un governo, a svantaggio di altri. Secondo me l'esperanto dovrebbe vincere in modo naturale alle Nazioni Unite e in qualsiasi altra trattativa politica e commerciale.

Tomizza poi interverrà al 56° congresso degli esperantisti italiani a Grado nel settembre 1985, mostrando anche di presenza la sua simpatia per un movimento che superi le barriere linguistiche199. 5.4 Finalmente, l'Antologia italiana Il 1984 si apre tragicamente: il 23 gennaio viene a mancare Clelia Conterno. Aveva 68 anni, ma nella vita aveva incontrato tante difficoltà, delle quali molto l'aveva provata il difficile raggiungimento della maternità. Di sé aveva sempre detto poco, il suo romanzo Bambino mio tanto atteso aveva incentrato tutti i suoi pensieri sulla maternità rincorsa, non aveva raccontato di quel periodo, tutt'altro che breve, della sua vita legato all'esperanto, o quello, breve ma intenso, in cui prese parte alla resistenza antinazista (e questi silenzi le erano stati rimproverati in due recensioni del romanzo, delle quali una scritta da Silfer200, peraltro amicissimo). Aveva lavorato, ma poco aveva raccontato; aveva fatto, ma non si era gloriata; aveva sofferto, ma non si era lamentata. Del cattolicesimo aveva fatto una corazza, lo viveva senza formalismi, in maniera essenziale: perdonava, ma giudicava. Viene a mancare con lei non soltanto una figura di saggista penetrante, fine umorista, delicata poetessa; viene a mancare anche una persona coinvolta in varie attività ancora in corso, che subiscono un ulteriore rallentamento. Viene a mancare la carissima compagna del gruppo, l'affettuosa "mamma" di alcuni membri della Pattuglia. Del suo ultimo romanzo, in manoscritto, esce un brano su Literatura Foiro come necrologio… Clelia, senza proclami femministi, aveva tenuto alto il vessillo delle donne nella letteratura esperanto; perciò LF-koop bandisce subito un "Concorso Clelia Conterno" di letteratura riservato alle donne, la cui giuria è composta da donne: le sezioni sono di poesia, novellistica e saggistica, tutte originali201. E i lavori in corso? Il vocabolario è fermo. Chi doveva terminarlo ha per il momento altre priorità familiari202, ed è temporaneamente negli Stati Uniti. Viene a mancare "mamma" Clelia, viene a mancare dopo pochi mesi anche Carolina Minio-Paluello, la mamma vera, anch'ella impegnata nella revisione delle schede del dizionario. Non è prevedibile una ripresa a breve dei lavori, e allora la CoEdEs decide che vale piuttosto la pena di finanziare l'uscita dell'Antologia italiana. Negli ultimi febbrili completamenti interviene, in aiuto di Azzi, Aldo 199

Il tema congressuale era "Esperanto e Mitteleuropa: due culture pluralistiche", e l'intervento di Tomizza fu particolarmente apprezzato. 200 Vd. Literatura Foiro, 82, 1983, pp. 30-31. 201 Anche la Federazione Esperantista Italiana, del cui Direttivo la Conterno fu a lungo autorevolissimo componente, istituì un premio, a lei dedicato, per il gruppo locale che avesse avuto nell'anno la migliore attività. 202 Carlo Minnaja era rimasto vedovo con tre bambini nel maggio 1982; nel 1986, dopo due trapianti di fegato e una odissea ospedaliera negli USA e in Austria, muore la sua figlia maggiore, Marina. 64

de' Giorgi203, e l'opera finalmente vede la luce nel 1987, in occasione del centenario della nascita della lingua204. Dopo tanto lavoro205, il risultato è più che dignitoso, e regge il confronto con antologie di altre lingue. Sono 478 pagine, 153 brani di cui 107 di poesia, 73 autori. Sono, come del resto era pianificato, traduzioni di livello diverso, un omaggio complessivo alla letteratura italiana e all'esperanto. Sono passati oltre cinquant'anni da quando l'antologia era stata progettata ed era stata dichiarata "pronta per la stampa". Molti di coloro i cui contributi erano stati inseriti erano già scomparsi per cause anagrafiche; altri, dopo un temporaneo interesse, anche intenso e fervente, per l'esperanto, se ne erano distaccati e avevano rivolto altrove le loro attenzioni. Dei 28 traduttori soltanto nove erano ancora vivi e attivi. Si può dire che l'antologia è nata già vecchia, fuori tempo? Eppure le introduzioni ai singoli secoli, fatte dalla Conterno e Margherita Ducati Bolognesi, sono rimaste attuali nonostante l'evoluzione delle valutazioni critiche; le traduzioni della Conterno da Pulci e da Boiardo, o quelle di Dondi da Ariosto e da Tasso interpretano ancora egregiamente la sonorità piena delle ottave rinascimentali. Il Pianto della Madonna di Jacopone, con i suoi versi brevi che costringono alla rima difficile e ripetuta, è, nella traduzione di Dondi, struggente. Le traduzioni da Leopardi e D'Annunzio di Luigi Minnaja sono vicine, con uguale decoro, a quelle di Kalocsay, che ha fornito ben 26 traduzioni, quindi un quarto delle opere di poesia. Aldo de' Giorgi, la cui vena è esplosa a metà degli anni Settanta e che si è aggiunto nell'ultimo periodo, ha una capacità di utilizzare le latenze della lingua da non sfigurare accanto al santone Waringhien. Compaiono, aggiunte nell'ultima stesura, le traduzioni di Pisoni premiate nei primi anni Settanta. Le prose presentano un panorama più che soddisfacente, dal Novellino al De Amicis, passando per Boccaccio, Machiavelli, Guicciardini, Leonardo, Leopardi, Pellico, Manzoni, Fogazzaro. E tuttavia chi è rimasto attivo e ricopre negli anni Ottanta cariche di prestigio vede con un po' di rammarico che sono uscite, senza che avesse potuto rivederle, le sue traduzioni di quando era ragazzo, ancora basate sul lessico degli anni Cinquanta. Ma nel complesso l'opera è buona, molto buona, e raggiunge pienamente il suo scopo: dare una visione d'insieme della letteratura italiana. La recensione che compare sul periodico esperantista più letto, l'organo dell'UEA, ha titolo "Dialetti dell'amore", evidenziando l'amore come il motivo guida di tutta l'antologia206. È apprezzata la presenza di poeti dialettali e anche il fatto che le traduzioni siano di epoche diverse, in modo da offrire un'antologia non soltanto della letteratura italiana, ma anche dell'arte della traduzione. Il raccolto in campo internazionale è abbondante. Probabilmente in relazione con il centenario dell'esperanto, escono quasi contemporaneamente sul mercato la seconda parte dell'antologia inglese (che comprende autori fino al 1960), la prima parte dell'antologia tedesca (che si arresta al 1700), l'antologia australiana, un'antologia della poesia maltese e un'antologia della poesia ebraica, per cui le recensioni su riviste internazionali spesso accomunano più opere e non sono specifiche dell'antologia italiana. 5.5 Angelo Beolco, detto Ruzante Dopo l'uscita dell'Antologia italiana restavano due grandi lavori iniziati o progettati: il vocabolario italiano-esperanto e un'antologia dei poeti del XX secolo. 203

Aldo de' Giorgi (1924 - 2003), ragioniere, funzionario dell'Automobile Club d'Italia. In esperanto fu saggista, polemista, poeta, traduttore, redattore di varie riviste; membro dell'Accademia. 204 G. Azzi (red.), Itala antologio, CoEdEs, Milano, 1987. 205 Un interessante articolo sulle vicissitudini di quest'opera è: A. de' Giorgi, Finfine "Itala Antologio" (Finalmente, l'"Antologia Italiana"), "L'esperanto", 12, 1987, pp. 6-7. 206 M. Haase, Dialektoj de la amo, Esperanto, 1011, 1990, p. 65. 65

Chi scrive era impegnato in entrambi e dette la priorità alla seconda opera, che sembrava di più facile completamento. Tuttavia, sempre ai fini di trasporre nel vocabolario anche una parlata popolare, fece ancora un esperimento, cimentandosi nella traduzione de Il parlamento207, dal dialetto pavano cinquecentesco del Ruzante. La scelta era anche suggerita dal fatto che nel 1990 il congresso italiano di esperanto si sarebbe svolto a Padova, e una rappresentazione scenica del Ruzante avrebbe certamente interessato il pubblico e la stampa locale, dando visibilità al congresso anche come evento letterario. La traduzione da un dialetto in una lingua come l'esperanto che non ha dialetti storici poteva apparire un non-senso, ma traduzioni di Ruzante esistono in molte lingue, e quindi il problema era certamente stato risolto, in modi diversi a seconda delle lingue. Tuttavia anche l'esperanto, se pur non ha un dialetto, e se pure non ha tradizioni o registri legati al ceto sociale208, ha comunque livelli diversi di capacità espressiva: i poeti e autori di prose letterarie usano un lessico più raffinato e ricercato che non i generici esperantofoni che si incontrano nei gruppi locali o chiacchierano nei congressi. Del pari le riviste nazionali e internazionali di vasta lettura usano generalmente un linguaggio privo di velleità letterarie. Le traduzioni scritte possono permettersi l'uso delle possibilità anche latenti della lingua assai più di colloqui orali, nei quali la comprensione deve essere immediata. Il traduttore affrontò la questione mettendo in bocca al contadino Ruzante una lingua con delle strutture sintattiche semplici, con qualche voluto errore grammaticale che non compromettesse il significato (come per esempio l'omissione del soggetto in una subordinata relativa quando esso coincide col soggetto della reggente), con costruzioni quasi costantemente del tipo soggetto-verbooggetto. Un altro problema fu la resa delle interiezioni volgari usate come intercalare, registro non comune in una lingua in cui l'uso familiare è praticato da poche migliaia di persone, solitamente circondate da un ambiente che usa un'altra lingua: come è noto, il turpiloquio si impara più sulla strada che in famiglia. Qui fu di aiuto il gergo che si sente negli incontri giovanili, che offrono parlate molto più libere che non le ovattate inaugurazioni dei congressi generali alla presenza di autorità. C'è da aggiungere che in un pubblico largamente internazionale molte allusioni dissacranti, che mescolano sesso e religione, tipiche della parlata popolana, hanno assai minori possibilità di una comprensione immediata che non ad esempio, in un pubblico di consolidata cultura cristiana o più generalmente europea. Il problema di tali traduzioni è fortemente sentito nel mondo esperantofono, e le soluzioni adottate hanno lasciato perplesso qualche recensore209. Il testo a stampa de Il parlamento210 si giova anche di un'introduzione di Marisa Milani211, che manifestò cordialità ed apprezzamento per la realizzazione dell'opera. La commedia fu effettivamente rappresentata durante il congresso, ma le brevi prove fatte nei giorni precedenti evidenziarono una diversità di culture a cui fu ovviato con buona volontà da parte di tutti. La compagnia teatrale era croata212, e la regia era invece della "Associazione Ruzante", 207

Nella lingua del Ruzante significa "il colloquio". Questo è detto qui a scopo semplificativo, ma non è del tutto vero. L'esperanto usato dalle classi lavoratrici, in particolar modo negli anni tra i due conflitti mondiali in cui il movimento esperantista dei lavoratori era forte e staccato da quello borghese, era un esperanto semplice, con l'uso di un lessico più limitato, con un uso maggiore di suffissi e un uso minore di parole composte. C'era quindi, sia pure non vistosa, una connotazione di classe anche nell'uso della lingua internazionale. 209 Vd. G. Lagrange, Hantas min eterna demando (Mi ossessiona un'eterna questione), "Literatura Foiro", 134, 1991, pp. 48-49. 210 Angelo Beolco (Ruzante) (tr. C. Minnaja), Interparolo, Edistudio, Pisa, 1990. 211 Marisa Milani, all'epoca professore di Letteratura delle tradizioni popolari all'università di Padova, curatrice dell'edizione completa delle opere del Ruzante e di un lessico ruzantiano. 212 Sezione teatrale del Club Studentesco Esperantista dell'Università di Zagabria, compagnia con una tradizione trentennale di presentazioni in esperanto. 208

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compagnia padovana tradizionalmente dedita alla presentazione di opere di questo autore213. Fu subito evidente che gli attori trasfondevano nella versione esperanto lo spirito con cui Ruzante viene solitamente presentato in Croazia, spirito di estremo umorismo quasi canzonatorio; il regista padovano invece perseguiva un modello assai più serio, considerando la pièce un dramma piuttosto che una commedia. Le intonazioni, i gesti, i movimenti sulla scena furono quindi, nelle prove (per necessità frettolose), oggetto di continui riadattamenti e, talvolta, di qualche contrasto214. Tuttavia alla fine della rappresentazione il regista si dichiarò molto soddisfatto e gli attori del pari. L'ascolto di una commedia di Ruzante è impegnativo anche per un pubblico particolarmente colto che conosca il dialetto, e fu impegnativo anche per il pubblico internazionale di quella sera, il 25 agosto 1990. La stampa locale registrò con interesse questo omaggio al grande padovano espresso in una lingua non legata ad una cultura etnica. 5.6 Enlumas min senlimo Nel frattempo erano maturati, anche qui con difficoltà, i tempi per l'uscita di una antologia della poesia italiana del XX secolo. Le trasmissioni di Radio Roma avevano trattato Quasimodo, Ungaretti, Govoni, e si erano aggiunte numerose traduzioni di Pisoni che spaziava in un campo piuttosto vasto; a sua volta Gian Luigi Gimelli si era messo in luce traducendo da Pavese, Saba, Gatto, Penna. Si era notato infine che le traduzioni da poeti del XX secolo erano state, in proporzione, più abbondanti che da tutti gli altri periodi della letteratura italiana. Il problema (mal posto) dei diritti d'autore, unito al problema della difficile scelta in un panorama letterario ancora fluido, aveva fatto arrestare la Itala Antologio a D'Annunzio, e quindi si imponeva, piuttosto che una raccolta di poesie sparse, una antologia sistematica, ordinata, equilibrata, che fosse la naturale continuazione, ristretta alla poesia, dell'antologia già apparsa. Pertanto furono tralasciati Pascoli e D'Annunzio, che già comparivano in quella: a posteriori, è stato un peccato perché di entrambi esistevano parecchie belle traduzioni, che sono rimaste così escluse. Nonostante i traduttori avessero lavorato indipendentemente uno dall'altro e ciascuno secondo la propria vena, i gusti erano stati abbastanza diversificati: c'erano, sì, varie traduzioni della stessa poesia, ma erano casi rari. L'antologia, quando fu concepita a metà degli anni Settanta, fu vista come opera esclusiva della Pattuglia, comprendendovi anche i fogli lasciati da L. Minnaja: abbiamo già accennato che il gruppo difficilmente si apriva, e anche la rivista Literatura Foiro aveva accolto nuove collaborazioni soltanto dopo un anno. Iniziò quindi il lavoro di organizzazione: scelta delle poesie, verifica di cosa restasse da tradurre, verifica dei diritti d'autore e dei permessi vari. Sotto questo aspetto ci fu forte differenza rispetto alla redazione della Itala Antologio, che invece aveva fatto la scelta dei 213

Questa compagnia era stata dapprima ingaggiata per interpretare l'intera commedia, e si era volonterosamente dichiarata capace di imparare le parti in esperanto, ancorché lingua sconosciuta agli attori, la cui fonetica tuttavia è molto simile a quella dell'italiano. Vari mesi dopo rinunciò all'incarico dichiarando una insormontabile difficoltà ad impadronirsi del copione. Mantenne tuttavia l'incarico della regia, mentre fu affannosamente cercata (e tempestivamente trovata) un'altra compagnia abituata a recitare in esperanto. Peraltro, come è noto, i personaggi del Parlamento che parlano sono solo tre. 214 Si aggiungeva anche il fatto che i contatti tra il regista, che non parlava esperanto, e gli attori si svolgevano attraverso un interprete. 67

brani fortemente in funzione di quanto già era stato tradotto. Purtroppo nel 1988 si spegne l'amico carissimo Gaudenzio Pisoni, tra i più validi ed entusiasti collaboratori fin dal primo momento, lasciando alcune traduzioni in fase di bozza, che poi verranno ultimate dal redattore. Il primo passo fu proporre il disegno di tale antologia ad una casa editrice. La più naturale a cui rivolgersi era LF-koop, legata alla rivista Literatura Foiro, in quanto proprio in occasione dello scioglimento della Pattuglia era stato confermato che la pubblicazione di tale antologia era nel piano di lavoro triennale. Alla prima proposta vi fu una risposta interlocutoria: i membri della Cooperativa erano in gran parte svizzeri e un'antologia poetica italiana non sembrava ai loro occhi avere quella caratura internazionale che garantisse un rapido assorbimento da parte del mercato. Inoltre la Cooperativa aveva già altri progetti editoriali. In seconda battuta la pubblicazione fu proposta alla FEI, anch'essa ritenuta l'organismo naturale per promuovere un'opera di letteratura italiana; ma la FEI, sentendosi in dovere di essere sempre pronta a finanziare l'uscita del vocabolario, ed essendosi già impegnata finanziariamente con la Itala Antologio, non si arrischiò ad uscire con un altro libro, nonostante che il vocabolario fosse ancora in fase di stallo e quindi la sua eventuale pubblicazione ancora lontana. Mentre continuavano le esplorazioni per trovare un editore, la redazione andava avanti. Non si trattò di un lavoro di compilazione rapida: tutt'altro. La prima idea di riunire semplicemente le traduzioni già esistenti si rivelò insufficiente rispetto al disegno di un'antologia veramente rappresentativa: c'era materiale adeguato per i poeti più celebrati, per alcuni addirittura largamente sovrabbondante, ma di quelli meno famosi mancava quasi tutto. Anche per questa antologia poetica si verificò, ancorché in piccolo, lo stesso problema che per la Itala Antologio: il rischio di invecchiamento. Nel lungo tempo tra quando fu progettata e quando si giunse vicini alla pubblicazione erano sorti poeti nuovi, e i poeti già inclusi avevano scritto opere nuove. Ciò richiese un aggiornamento: non si poteva uscire alla fine degli anni Ottanta senza avere considerato Xenia di Montale o Fosfeni di Zanzotto. All'inizio della redazione, a metà degli anni Settanta, erano state scelte due antologie che fossero una guida nel non facile lavoro di cernita in un periodo letterario fatalmente in evoluzione continua: Poesia italiana del Novecento, curata da Edoardo Sanguineti215 e I poeti contemporanei di Marziano Guglielminetti216. La prima, di oltre 1150 pagine e tendente ad una certa completezza, considerava 45 poeti e si arrestava ai primi anni Sessanta; la seconda, funzionale ad un programma scolastico, considerava 24 poeti e si arrestava ai primi anni Cinquanta. Il protrarsi del lavoro di redazione fece sì che queste due antologie venissero superate in attualità da altre tre che uscirono nel frattempo e dalle quali non si poteva prescindere: Poeti italiani del Novecento217, a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, Poesia italiana. Il Novecento218, diretta da Piero Gelli e Gina Lagorio, e Poesia italiana contemporanea219, di Giovanni Raboni. L'antologia di Mengaldo, di 1100 pagine, si raffrontava con quella del Sanguineti, ma, anche nel periodo che coprivano in comune (Sanguineti parte da prima, includendo Pascoli e D'Annunzio), le scelte erano parecchio diverse: dei 51 poeti considerati da Mengaldo, solo 30 sono presenti anche nella raccolta di Sanguineti, la quale a sua volta, simmetricamente, ne contiene 15 assenti nella raccolta di Mengaldo. L'antologia di Gelli e Lagorio ha un panorama più vasto: su 1100 pagine offre 76 215

E. Sanguineti (a cura di): Poesia italiana del Novecento, 2 voll., Einaudi, 1969. M. Guglieminetti, I poeti contemporanei, SEI, rist. 1970. 217 P. V. Mengaldo (a cura di): Poeti italiani del Novecento, Mondadori, 1978. 218 AA.VV., Poesia italiana. Il Novecento, 2 voll., Garzanti, 1980. 219 G. Raboni, Poesia italiana contemporanea, Sansoni, 1981. 216

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poeti, ma ne mancano 6 che invece sono presenti tra quelli proposti da Mengaldo e ben 19 tra quelli presenti in Sanguineti. L'antologia di Raboni, di dimensioni scolastiche, è ristretta a 12 poeti soltanto. La scelta di quali fossero i poeti più rappresentativi da presentare ad un pubblico internazionale era quindi estremamente ardua e non poteva ridursi ad una mera ripresa di una o l'altra delle antologie italiane; pertanto furono acquisite e studiate singole opere di parecchi autori220, e il risultato fu un'antologia del tutto originale rispetto a quelle consultate. Entrarono poi alcune altre considerazioni. Una fu connessa alla constatazione che la componente femminile nella poesia italiana contemporanea era, anche nelle più ampie delle antologie citate, quasi inesistente: assente del tutto in Sanguineti su 45 poeti, una sola presenza su 51 in Mengaldo, più significativa ma sempre modestissima (sei presenze su 76) nell'opera di Gelli e Lagorio. Si scelse quindi di garantire una ancorché minima "quota rosa", e inserire due presenze femminili, Margherita Guidacci e Daria Menicanti, che mancavano in una prima bozza. La seconda fu la scelta di non avventurarsi nella poesia dialettale, per quanto esistessero varie belle traduzioni da Trilussa; la terza fu di tralasciare totalmente la poesia in lingua italiana prodotta in Svizzera o a Malta, scelta che rischiava di essere un po' penalizzante per un libro destinato ad un mercato internazionale. Infine, ancorché la pubblicazione fosse prevista come opera postuma della Pattuglia, scioltasi nel 1979, si erano affacciate al mondo della traduzione dalla letteratura contemporanea altre voci significative, quanto meno Giulio Cappa e Mauro Nervi, che avevano curato alcuni poeti in particolare, come Saba. Valeva quindi la pena di considerare la cooptazione di nuove forze, anche nell'ultima fase della redazione. Quando il manoscritto fu quasi ultimato, anche se ancora non era stato trovato un editore, furono iniziati i sondaggi per valutare i costi connessi ai diritti d'autore. Furono avviati con molto timore, con l'idea che una qualsiasi richiesta in linea con i parametri usuali avrebbe subito affondato un'opera la cui tiratura era prevista in 700 copie. Invece tali trattative (e più che trattative, contatti, perché il denaro uscì subito di scena) si rivelarono una parte molto interessante del lavoro. Si contattarono gli autori ancora viventi. Nella facilitazione di questi contatti (reperimento di indirizzi ed elementi biografici vari) furono cordialmente di aiuto Silvio Ramat e Armando Balduino, conosciuti da chi scrive221, professori di letteratura italiana e spesso in contatto personale con i poeti. A questi ultimi fu inviata una lettera in cui il redattore si presentava, prospettava il progetto dell'opera, chiedeva il permesso di pubblicare le traduzioni in esperanto delle poesie scelte, chiedeva se l'autore poteva eventualmente consigliare una scelta migliore e si informava dell'ammontare dei diritti. Le risposte furono di varia natura, e vale la pena di esaminarne alcune222. Edoardo Sanguineti rispose: […] La ringrazio per la Sua cortese lettera, e sono lieto che Lei voglia accogliere nella Sua antologia e nella Sua traduzione, le 4 poesie che mi ha indicato; 220

Luigi Minnaja aveva lasciato la collana completa dei "Poeti dello Specchio" e varie raccolte poetiche di singoli autori. 221 Silvio Ramat era stato conosciuto nell'ambito della Società di Linguistica Italiana; il figlio di Armando Balduino era stato, al liceo, scolaro della moglie di chi scrive e con lui si erano instaurati contatti cordiali. 222 Tutti gli originali sono consultabili a scopo di studio presso l'Autore. 69

per il problema della proprietà letteraria, occorre che Lei si rivolga alla casa editrice "Feltrinelli" […] che concederà agevolmente la cosa (Lei può scrivere che ha già il mio consenso); posso sperare di avere a suo tempo, in gentile omaggio, una copia dell'antologia? […] Le sarò grato se porgerà un cordiale saluto, da parte mia, al collega Balduino.

Le poesie scelte erano quattro, da Triperuno, Wirrwarr, Stracciafoglio. La traduzione fu tutt'altro che semplice. Le immagini di Sanguineti sono per persone colte, ci sono molte allusioni alla storia italiana che per un pubblico internazionale vanno glossate. Giovanni Raboni espresse anche lui apprezzamento con le righe seguenti, vergate a mano: […] le dò con piacere il mio consenso alla pubblicazione, nell'antologia da Lei curata, dei miei testi di cui è cenno nella Sua lettera. Data la brevità dei testi stessi, penso non vi siano problemi di diritti; La sollevo comunque da ogni obbligo in merito. Formulo i migliori auguri per la Sua interessante attività e Le invio molti cordiali saluti.

Le poesie di Raboni erano Imbarcadero e la n° 3 delle Canzonette Mortali, di traduzione meno difficile, perché non ricche di allusioni. Franco Fortini rispose, anch'egli a mano: Caro Minnaja, scusandomi del ritardo con cui le rispondo, ho piacere di comparire nella sua antologia e la scelta mi va bene. Quanto ai diritti, sono della Einaudi ma credo che per 50-70 versi non esigeranno diritti. Io, comunque, no. Grato per il Suo lavoro, mi creda Suo Franco Fortini Ma come ha fatto a tradurre il Belli?

Il Fortini qui appare interessato e curioso sulle possibilità di traduzione in esperanto di poesie dialettali; in realtà le traduzioni del Belli, citate nella lettera di presentazione, erano di Pisoni, mentre di Carlo Minnaja era semplicemente l'introduzione. Più articolata e precisa la risposta di Giorgio Caproni, dalla quale sono estratte soltanto alcune righe: […] Non ho nessuna difficoltà a darle il mio consenso per l'apparizione in esperanto delle mie poesie "Congedo del viaggiatore cerimonioso", "Preghiera d'esortazione o d'incoraggiamento" e "Andantino" nell'antologia da Lei curata. Per i diritti d'autore dovrà rivolgersi alla Signora […], dicendole che ha già avuto il mio benestare. Non penso che, quanto alla cifra, Le chiederà molto, trattandosi di così poche cose. Relativamente alla scelta fatta, non sta a me entrare nel merito. Mi permetto soltanto di ricordare al Traduttore che Andantino è un movimento musicale, e come tale andrà lasciato in italiano, e non "trasmutato in altra loquela", come buffamente han cercato di fare altri miei traduttori. […] Un particolare saluto al caro Ramat. P.S. Ciò che raccomando (anzi … esigo) è che l'architettura tipografica dell'eventuale traduzione rifletta fedelmente in tutto (spazi bianchi, "rientrare", versi spezzati) quella dei testi originali, così come appaiono in TUTTE LE POESIE (Garzanti Editore, Milano).

Poi a mano e' aggiunto un punto esclamativo dopo "esigo", nonché le frasi seguenti:

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(Forse sarebbe bene, a suo tempo, mandarmi la bozza). E… ancora! Potrò poi avere una copia dell'Antologia?

Le precisazioni di Caproni non erano ingiustificate, in quanto l'edizione da lui segnalata (del 1984) riportava poesie leggermente modificate tipograficamente dall'edizione del 1976; ciò comportò una riscrittura anche della traduzione. Al poeta fu subito risposto che il traduttore aveva ben presente come anche gli accorgimenti tipografici fossero parte della poesia e quindi andassero rispettati. La questione dei diritti d'autore si appianò subito, ma era iniziata con una indicazione di massima di 20.000 lire a verso, il che per un'antologia che era di 3000 versi avrebbe portato, se tutti avessero chiesto una cifra simile, all'esborso, allora, di 60 milioni di lire, cifra insostenibile per una tiratura di 700 copie. Dopo un piccolo chiarimento, anche la casa editrice Garzanti concesse tutti i diritti gratuitamente. In conclusione, nessuno chiese diritti, né autori, né editori. Alcuni non risposero alla lettera in cui si chiedeva il permesso, altri telefonarono essi stessi appositamente per parlare di persona. Daria Menicanti volle ricordare, in una simpatica conversazione telefonica, di essere stata esperantista ed espresse il suo compiacimento per essere stata inclusa nell'antologia. Margherita Guidacci consigliò ella stessa una selezione di opere da citare nel medaglione che la riguardava. Andrea Zanzotto telefonò di propria iniziativa per dire che si era avvicinato anche lui all'esperanto da giovane, e consigliò una scelta diversa di sue poesie, in quanto gradiva che venisse inclusa qualche poesia della sua ultima raccolta, uscita da poco. Mario Luzi fu molto cortese al telefono, era da tempo un amico; nel 1993 favorirà l'accoglimento del PEN-club degli scrittori in esperanto nel PEN-club internazionale223 e scriverà nel 1995 una introduzione alla traduzione delle prime tre giornate del Decamerone224. Graziella Chiarcossi, erede di Pasolini, rispose molto gentilmente. Tutti si dichiararono interessati ad avere una copia del libro, quando fosse uscito225. Tra gli editori, alcuni chiesero precisazioni sull'edizione e la tiratura, e poi accordarono formalmente il permesso gratuito. Altri tale permesso lo accordarono immediatamente per telefono; a questo proposito va ricordata una piacevolissima e cordiale conversazione avuta con Vanni Scheiwiller, con il quale si parlò di cultura, di letteratura esperanto, di diffusione della lingua, delle sue capacità artistiche, della grammatica, della costruzione delle parole composte e della loro espressività: di tutto, tranne che di diritti editoriali. In molti casi l'editore è del pari appassionato alla cultura quanto l'autore. In primavera del 1990 il libro era pronto. L'editrice fu la Cooperativa di Literatura Foiro, la prima contattata, e grande fu l'aiuto di ogni tipo trovato nella curatrice editoriale, Perla Martinelli. Il titolo fu idea sua, che rimpiazzava un titolo piatto come Poeti italiani del Novecento, che era sempre stato il titolo provvisorio, sostituito per breve tempo dalla proposta Kaj subitas vespero (Ed è subito sera). Il 16 luglio 1990 Perla propone il titolo definitivo 223

Mario Luzi (1914 - 2005) era all'epoca presidente del PEN-club italiano. Il PEN-club internazionale è la federazione dei PEN-club nazionali a cui aderiscono gli scrittori nelle lingue nazionali (attualmente sono 114). L'accoglimento del PEN-club esperanto, non legato ad una nazione o ad una comunità che abbia elementi storici o territoriali comuni, ha significato il riconoscimento ufficiale della lingua internazionale come mezzo identificativo di una cultura letteraria. 224 G. Boccaccio, Dekamerono. Unuaj tri tagoj (tr. P. Martinelli e G. Waringhien), LF-.koop, 1995. Anche quest'opera era stata pianificata prima della guerra dalla casa editrice Literatura Mondo ed era stata iniziata da G. Waringhien, che morirà nel 1991. 225 Il volume è stato inviato a tutti gli autori ed editori. Giorgio Caproni è deceduto prima che il volume vedesse la luce. 71

Enlumas min senlimo (M'illumino d'immenso) e dice di aver trovato una bella copertina, che si intona perfettamente con il titolo della poesia di Ungaretti, Cielo e mare. È fatta. L'avventura dell'antologia dei poeti italiani del Novecento si avvia al suo epilogo. Il risultato finale226 non sfigura rispetto alle altre antologie in esperanto: 270 pagine, 164 poesie di 34 autori, da Govoni a Raboni, da Gozzano a Bertolucci, da Sbarbaro a Penna, dedicando ovviamente ampio spazio a Ungaretti, Saba, Montale, Quasimodo. Vi hanno collaborato nove traduttori: Carlo Minnaja con tutti i medaglioni, i commenti critici, le note e 70 poesie, Gaudenzio Pisoni con 46 poesie, Nicolino Rossi con 14 e via via gli altri (Luigi Minnaja, Clelia Conterno, Gianluigi Gimelli, Giulio Cappa, Mauro Nervi, Giorgio Silfer). Il saggio introduttivo è di Clelia Conterno, i diciotto bozzetti sono di Gianluigi Gimelli. La dedica ricorda i collaboratori venuti a mancare durante il cammino: "a Luigi, Clelia, Gaudenzio, fratelli nella poesia". La presentazione del volume avviene nella serata letteraria del congresso di esperanto a Padova, il 28 agosto 1990, al Teatro dell'Antonianum. Quasi una carrellata, con un narratore (Pier Giorgio Soranzo) che racconta la storia della poesia italiana del Novecento, inframezzata da letture prese da Enlumas min senlimo. Si alternano nella declamazione al microfono alcuni giovani del Dopolavoro Ferroviario di Venezia sotto la guida di Paola Ambrosetto, la musica accompagna la lettura in sottofondo, si fa più forte durante le pause, sfuma in lontananza al calare del sipario. 5.7 Epilogo Con Enlumas min senlimo si chiude dunque il secolo considerato. Tempo dopo, il 1° maggio 1993, Andrea Zanzotto scrive a Carlo Minnaja: … ho ricevuto con piacere […] la sua interessante e completa antologia della poesia it. mod. volta in esperanto. In altri tempi, come credo di averle detto, avevo studiato un po' questa preziosa lingua, o meglio tentativo di creazione, non sopraffattrice, di una lingua planetaria. E mi compiaccio che il tentativo persista, anche se spirano venti contrari. Certamente lodevole il suo lavoro qui documentato, e negl'intenti e, penso, anche negli esiti. Con i più cordiali saluti e ringraziamenti suo Andrea Zanzotto

Il percorso nella poesia era quindi terminato con soddisfazione. Restava ancora da condurre in fondo il vocabolario. Uscirà qualche anno dopo227.

226

C. Minnaja (red.), Enlumas min senlimo (M'illumino d'immenso), Kooperativo de Literatura Foiro, Prilly, 1990. 227 C. Minnaja, Vocabolario italiano-esperanto, CoEdEs, 1996.

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